Floyd "Creeky" Creekmore il clown più longevo del mondo
Floyd “Creek” Creekmore, il clown più longevo del mondo, si è spento a 98 anni nella sua casa di Billings, in Montana, il 27 settembre. Un mese fa è stato ricoverato per una infezione intestinale. Dimesso dopo una settimana, non si è più ripreso, finché complicazioni cardiache ne hanno causato la morte. Nel 2012 era entrato nel Guinness dei primati per essere il clown più anziano, strappando il titolo a Andrew Beyer, “Bumbo the Clown”, che nel 2004, a 86 anni, aveva conquistato il record.
Ha cominciato a vestire i panni del clown quando aveva solo dieci anni, sviluppando fin da allora una passione che l’avrebbe accompagnato per tutta la sua esistenza. Dopo avere lavorato nei ranch del Montana e come muratore, nel 1981 è stato scritturato dallo Shrine Circus, un gruppo famoso per i suoi spettacoli di pagliacci finalizzati a raccogliere fondi per i bambini degenti negli ospedali. Da allora fino, non ha mai smesso di fare sorridere grandi e piccini, orchestrando giochi di abile gaucherie, muovendosi con impacciata precisione nella sua grande giacca multicolore, con il cappello giallo sopra la parrucca arancione. E il fiore disegnato in punta di naso, rosso. Nonostante non abbia più tenuto spettacoli, dopo la morte della moglie Betty, ha continuato a presenziare alle rappresentazioni allestite dallo Shrine Circus. La sua eredita è stata raccolta dal nipote, Tom, il quale ha detto che suo nonno ha compreso che la cosa più importante della vita è riuscire a fare sorridere – non ridere, non necessariamente - un bambino.
La nobile storia del clown. La figura del clown, benché simile a quella mimo e del giullare medievale, è nata con il primo circo equestre, fondato a Londra nel 1770. Il nome, derivato dall’islandese clunni, indica chi è rustico, contadino, ed è stato per la prima volta assunto da Burt il clown, che nel circo Astley parodiava gli spettacoli degli eleganti cavallerizzi. A salire agli onori della notorietà fu tuttavia un italiano, Joseph Joey Grimaldi (1778-1837), figlio di Giuseppe Grimaldi, ingaggiato dal Sadler’s Wells. Ancora oggi, i clown inglesi si recano in pellegrinaggio alla sua tomba, ogni prima domenica di febbraio.
Se il clown è “invenzione” settecentesca, la storia del pagliaccio (da “pagliericcio”, ma anche da “uomo di paglia”) è ben più antica. Anche se usiamo i due termini come sinonimi, non rappresentano affatto il medesimo personaggio. A differenza dei clown, che lavoravano soprattutto nei circhi, i pagliacci recitavano infatti per le strade, alle fiere e nei teatri itineranti. Il loro era un ruolo simile a quello dell’Arlecchino veneziano, tipi fissi che agivano in situazioni collaudate, in cui gesti e dialoghi venivano improvvisati sulla base di un canovaccio fisso.
In origine, Pagliaccio era il nome dato a una maschera della Commedia dell’Arte della compagnia di Alberto Ganassa, nel 1572. Vestiva un abito largo, dai grandi bottoni e calzava sulla testa un cappello morbido. L’eredità di Pagliaccio passò a Gran Farina, un suo figlio tutto vestito di bianco, senza maschera e con il viso infarinato. All’inizio Ottocento, venne fondata la coppia del pagliaccio Bianco, forbito ed elegante, una sorta di Pierrot, e del pagliaccio Rosso, chiamato anche Augusto. Al contrario del suo compare, era stralunato, povero e pasticcione. Un altro, storico duo di pagliacci fu quello nato a inizio Novecento in Unione Sovietica, costituito dai pagliacci “politicizzati” Oleg Popov e Alessandra Popovna.