Madonna desnuda di Giò Manzoni (che è un pittore dall'anima rock)

Una Madonnina, proprio come l’emblema di Milano, ma senza vesti. Un’immagine sacra, caratterizzata, però, da una nudità che la rende più umana e terrena. È con questo quadro che il pittore Giovanni Manzoni Piazzalunga, figlio del compianto Cesare, omaggerà la musica d’autore italiana. La sua Madonna desnuda è infatti finita sulla copertina della nuova compilation di "Rock targato Italia 2018" dedicata ai sessant’anni di storia della musica rock italiana e ai gruppi emergenti contemporanei. «Tutto è nato dalla mia amicizia con lo scrittore Emanuele Beluffi che ha proposto il mio nome a Francesco Caprini di Rock targato Italia – spiega Giò Manzoni –. Lui ha buon gusto per il disegno e ha apprezzato così tanto il mio lavoro che ha deciso di utilizzarlo per la compilation. È una grandissima soddisfazione. La copertina di un cd è qualcosa di magico. Anch’io mi soffermo spesso a guardare le linee, le fotografie, il segno. Magari su venti dischi con foto bellissime preferisco lo scarabocchio di un volto umano, magari fatto anche dal cantante stesso. Non penso che il disegno sia superiore alla fotografia, ma forse è più affine al mio linguaggio».
La prima edizione di Rock Targato Italia andò in scena nel 1986 a Milano da un'idea di Francesco Caprini, che riprese come titolo della rassegna il nome di una vecchia rubrica del mensile Mucchio selvaggio. La nuova compilation 2018, in uscita il 14 dicembre, racchiude i brani di Adriano Celentano, Enzo Jannacci, Tony Dallara, Luigi Tenco, Franco Battiato alle prime esperienze discografiche, I Campioni, la band di Roby Matano, frontman che ha inciso per primo Tintarella di Luna, e gruppo che nel tempo ha visto debuttare un giovane Lucio Battisti alla chitarra. «In copertina – spiega Manzoni – ho voluto mettere uno dei simboli di Milano. Come Caravaggio sporcava i piedi rappresentati nelle sue scene sacre per renderle più umane, così io ho voluto denudare la Vergine per renderla più donna. I colori richiamano il dorato della Madonna misto a un leggero incarnato, come se la scultura volesse sforzarsi di diventare più terrena. Il cielo intorno diventa un azzurro che si trasforma in verde per avvicinarla alla terra, per farla abbassare da quel piedistallo (il Duomo) che la porta a oltre cento metri da terra. Ci sono poi gli animali, un mio tentativo per portarli nel posto sacro da cui purtroppo vengono esclusi, nonostante a mio avviso abbiano un cuore puro».
Nato a Cochabamba, in Bolivia, nel 1979, Giò è stato adottato da Cesare Manzoni ed è cresciuto e ha studiato a Bergamo fino a 18 anni, età in cui ha poi iniziato a frequentare Milano per studiare all’Accademia di Brera, prima da pendolare e poi in pianta stabile. Nell’ultimo anno e mezzo ha fatto ritorno a Ponte San Pietro per stare vicino al padre malato. Dopo la sua scomparsa, Giò aveva pensato di proporre una serie di iniziative artistiche all’associazione "Un fiume d’arte", di cui suo padre era presidente, ma l’accoglienza, dice, è stata tiepida: «Mi ero proposto all’associazione che aveva fondato mio padre come presidente. Avrei voluto organizzare corsi di disegno, anche con modelle, volevo allestire una mostra al mese per dare spazio ai giovani iscritti dell’associazione. Be’, nessuna di queste proposte è stata accolta. A malincuore ho capito che se la gente non vuole ascoltarti forse è semplicemente perché sei nel posto sbagliato al momento sbagliato. Bergamo rappresenta mio padre per me e il rapporto con mio padre era forse quello di un armadillo con un orso: magari si piacciono, magari fanno qualche passo assieme, ma fanno fatica a comunicare. Questo non toglie nulla all’amore, gli ho voluto bene fino al suo ultimo respiro».
Al momento, Giò è tornato a vivere Milano nonostante la sua residenza e i sui ricordi restino ancora fortemente legati a Ponte San Pietro: «Quando avevo dieci anni – confida – comprai una canna da pesca per poter poi dire a posteriori: “Ti ricordi papà che pesce gigante abbiamo pescato?”. Era un tentativo goffo di creare dei ricordi con lui e di lui. Mio padre non è mai andato a pesca e a me non è mai piaciuto vedere animali soffrire, ma pensavo che fosse un’occasione per conoscerlo di più. Il risultato? La canna da pesca fu regalata ad altri per inutilizzo. Io non andai mai a pesca con lui e un vuoto in più si era creato. Il mio rapporto con Ponte lo vedo un po’ così. Tante occasioni, tanti tentativi, eppure forse manca qualcuno che ti ascolti o che sappia leggerti tra le righe. Non ne faccio una colpa a nessuno. Se non son riuscito a farmi sentire, semplicemente ho comunicato male. Speriamo che la prossima volta sia quella buona. Nel frattempo cercherò di ascoltare io quel cd che ha saputo ascoltarmi un po’, a sua volta».