I cardinali sono tutti missionari e uno non è neanche monsignore
Il caso più emblematico, quello che esprime bene il modo di immaginare la chiesa proprio di Francesco è quello di padre Michael Czerny, capo operativo della sezione migranti del Dicastero per lo sviluppo umano integrale (la sezione che il Papa ha voluto riservare a sé). Nell’elenco ufficiale di presentazione dei 13 nuovi porporati nominati ieri da Bergoglio, è l’unico che non ha davanti la dicitura di “monsignore”. Infatti è un semplice prete. È nato nell’allora Cecoslovacchia nel 1946 ed è un gesuita da battaglia. Prete da prima linea. Per dare un’idea della persona, al 1992 al 2002 è stato segretario per la Giustizia Sociale presso la Curia Generalizia della Compagnia di Gesù e ha operato in Africa come fondatore e direttore dell’African Jesuit Aids Network, una rete di sostegno ai gesuiti africani impegnati a dare risposte alla pandemia dell’Hiv Aids. Don Michael non sapeva nulla delle intenzioni del Papa e lo ha saputo via whatsapp da un confratello gesuita mentre era in Brasile a preparare il terreno per il prossimo Sinodo sull’Amazzonia.
I 13 nuovi cardinali vanno a rafforzare le truppe di Bergoglio nel Concistoro. Non ci sono nuovi cardinale americani, ed è un nuovo messaggio rispetto al futuro della chiesa, che ci sarà sempre meno una chiesa di ricchi. Anche la stanca Europa esce ridimensionata dal giro delle nomine. Due nuovi cardinali tra i 10 con meno di 80 anni (e che quindi possono votare al Conclave). E uno di questi è l’emblema dei vescovi di frontiera: Matteo Zuppi, che papa Bergoglio ha messo sulla cattedra di Bologna e che ha nel suo curriculum lunghi anni nella “diplomazia parallela” di Sant’Egidio. Monsignor Zuppi è tra le altre cose cittadino onorario del Mozambico, per aver contribuito in modo decisivo alla firma degli accordi di pace che avevano messo fine alla sanguinosa guerra civile nel Paese. E tra pochi giorni papa Francesco sarà in missione proprio in Mozambico…
È una scelta molto indicativa, perché in Italia restano senza cardinali grandi diocesi dalla lunga storia come Milano (anche se il vescovo emerito Angelo Scola ha la porpora), Torino e Venezia. In compenso sono cardinali i vescovi di chiese “nuove” come quella di Huehuetenamgo, in Guatemala, con monsignor Alvaro Ramazzini Imeri, quella di Kinshasa con monsignor Fridolin Ambongo Besungu, quella di San Cristóbal de la Habana, con Juan de la Caridad García Rodríguez. Il filo conduttore di queste nomine è certamente quello dell’impeto missionario: non a caso Bergoglio ha voluto rispolverare l’antico spirito dei gesuiti, con tre nomine fatte all’interno dell’ordine a cui lui stesso appartiene. Di don Czerny si è detto; c’è poi monsignor Jean-Claude Höllerich, lussemburghese, una vita a far da ponte con la cultura e la spiritualità giapponese, percorrendo le strade dei giganti come Matteo Ricci e Francesco Saverio. Terzo tra i gesuiti è il vescovo emerito di Kaunas, un uomo che nel suo passato ha 10 anni di prigionia nei campi di lavoro di Perm e Mordovia per propaganda e agitazione anti sovietica. Nel 1988 venne esiliato a Siberia fino alla sua liberazione nel 1993. Ma lo spirito missionario evocato da Francesco trova il suo volto emblematico nel volto scavato dalla vita di Eugenio Dal Corso, un veronese che è vescovo di una diocesi angolana, quella di Benguela, e che dal 1975 testimonia in prima linea la chiesa sulla frontiera dei paesi poveri.