Il sogno di diventare una ballerina e una bottega in Santa Caterina
Foto Sergio Agazzi
C’era una volta una giovane donna innamorata della danza. Antonella Boggi aveva una grande consapevolezza, seppur «con l’animo svolazzante», e sapeva già da ragazzina che il suo fisico non le avrebbe consentito di ballare nei teatri del mondo. Così incanalò tutta la sua energia e determinazione per diventare una brava insegnante di danza classica. A diciotto anni aveva già deciso e iniziato a lavorare sodo. Suo fratello maggiore, Roberto, classe 1963, la guardava crescere tra l’ammirato e lo spaesato: lui si stava cercando, percorrendo strade assai diverse tra loro. Dopo ragioneria si iscrisse prima a Giurisprudenza - «come tutti quelli che non sapevano cosa fare veramente», dice con tono scanzonato -, poi iniziò il servizio civile e per quasi venti mesi si impegnò alla Biblioteca Tiraboschi. Dopodiché, fece un lungo tirocinio in Camera di Commercio e infine si diplomò Grafico all’Istituto Europeo del Design.
L’arte, in ogni sua forma, l’aveva sempre respirata in casa. Prima ancora che la sorella, fu il papà a contagiarli entrambi: Lorenzo Boggi era ed è tuttora un pittore e un artista che, soprattutto negli anni Settanta, si dedicò attraverso il suo Studio 2B alla promozione dell’arte visiva (e non solo: pop art, musica elettronica e poesia). Roberto mostra orgoglioso un piccolo catalogo delle opere del padre su cui compaiono anche luminosi e colorati scorci di Città Alta. Tuttavia, provò, almeno per un certo periodo, a suggerire al figlio un rassicurante posto in banca, ma Roberto scelse di entrare in una grossa agenzia pubblicitaria per poi andarsene dopo soli sei mesi. Il padre gli aveva detto: «Fai quel che vuoi, basta che fai qualcosa». Lui l’aveva preso in parola e, quasi illuminato da quel «qualcosa», che tradusse in «tutto quel che puoi», aveva deciso di fare: seguì con passione un corso di teatro, imparò a camminare sui trampoli, andò in tournée, partecipò a un corso sui cristalli e altro ancora, fino all’annuncio dell’arrivo del suo primo figlio. «Avevo sempre avuto il pallino di aprire un locale, un disco bar, e un giorno Antonella mi disse che le avevano proposto di avviare un’attività per il mondo della danza. Non chiusi occhio tutta la notte e le proposi di farlo insieme».
Fu così che nel 1996 inaugurarono la loro Dance House, un negozio specializzato per la danza, classica in particolare, che in breve tempo diventò un punto di riferimento per tutti i giovani e le giovani danzatrici orobiche. «Come sempre fu Antonella a dare l’input, e lo fa tuttora proponendo idee e nuovi percorsi. Lei è più reattiva». E lei aggiunge: «Robi, invece, è quello con i piedi per terra». Tra i due c’è una grande intesa che non ha bisogno di troppe parole; si fidano e sanno che l’uno inizia dove l’altra finisce. Insieme hanno scelto di stare nel Borgo d’Oro, che fu il luogo che li accolse da ragazzi, nel quale costruirono amicizie che durano nel tempo e che ancora conserva «un’energia speciale» dalla quale soprattutto Roberto non vuole separarsi. I due fratelli, negli anni, hanno gestito ordini per corrispondenza e inventato il Temporary Dance Shop che si sposta sul territorio con i più importanti stage di danza, ma il Borgo resta la loro casa.
Antonella ha tre figli, Roberto due, e in questi anni hanno entrambi capito ancor di più che nulla vale quanto il tempo dedicato agli affetti. Proprio per questo ora ad aiutarli in negozio c’è Mattia, «un ragazzo serio e "sciallo", dotato di grande pazienza», che concede loro un po’ di tempo per se stessi. Il tempo libero di Roberto è anche quello del consueto pranzo al ristorante Tijuana con qualche amico di vecchia data e con Donato, anche lui commerciante in un negozio poco distante. Tra punte e trampoli, Antonella e Roberto continuano a danzare.