Se la squadra del cuore perde i tifosi metton su qualche chilo
Dopo il lunedì nero, per l’ipotetica perdita della squadra del cuore, anche il martedì potrebbe avere le stesse note di colore, scoprendo che l’ago della bilancia potrebbe essere schizzato in su di qualche chilo. Un’amara sorpresa dalla stretta correlazione. A dirlo è uno studio francese condotto dalla Insead Business School di Fontainebleau (vicino a Parigi), che ha paragonato le abitudini alimentari di due gruppi di tifosi davanti alla tv il giorno successivo alla vittoria o alla perdita dei propri idoli calcistici. Si sarebbe così scoperto che le differenze nei consumi, a seconda dell’esito della partita, si accentuano il giorno successivo (quindi di norma al lunedì) e che si riequilibrano in entrambi i casi pochi giorni prima della gara seguente. Cioè?
Il cibo è uno sfogo emotivo. Come si spiega questa amara fluttuazione di peso? La sconfitta sportiva della squadra, dicono gli esperti, intacca la percezione che ciascuno ha di se stesso e della propria identità. Insomma, identificarsi con i propri beniamini fa salire alle stelle i livelli di autostima se questi vincono, e li fa finire alle stalle con vorticosi sensi di frustrazione se la porta è stata invasa da uno o più gol. Con il risultato che, nel secondo caso, si ricercano gratificazioni compensatorie attraverso l’acquisizione di comportamenti salutari ‘proibiti’: fra questi il cibo. Ma non qualsiasi cibo: quello spazzatura, patatine fritte, snack, merendine ed ipercalorie, che aiutano a non sentire il dispiacere della squadra, colmando artificialmente il disagio emotivo. Perché non si tratta di una vera e propria fame: è solo fame nervosa; si ingurgita il cibo per un fattore emotivo, come valvola per congelare le emozioni negative. Una vittoria invece rafforza o aumenta la carica di fiducia e aiuta a mantenere anche un maggiore autocontrollo cibario. A vantaggio dell’intera salute: perché la voracità (o nutrirsi in modo compulsivo) porta con sé anche altri malesseri quali cattiva digestione, cefalee, talvolta dolori addominali. E l’umore, insieme ad essi, va a farsi friggere: perché passata la sazietà, le cose restano tali e quali a prima, ovvero la squadra del cuore è ancora perdente e magari ben lontana dallo scudetto.
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Come controllare la fame emotiva. La fame emotiva è, però, controllabile. Occorre ricorrere a tutta la propria forza di volontà e focalizzare la mente sul fatto che oltre al cibo esistono altre leve per accettare la sconfitta. Perdere una partita non è la fine del mondo; dopo questa ce ne sarà un’altra che forse andrà meglio nella quale finalmente si segneranno i fatidici gol della rimonta. Provare a riflettere sull’accaduto- dicono gli esperti - facendosi delle domande permette di trovare le risposte per tenere meglio sotto controllo gli eventi, impulso del cibo compreso.
Meglio mangiare con calma, e seduti. Ovvero due regole che, dopo la ragionevolezza, potrebbero essere di aiuto per controllare il desiderio di aprire fuori programma lo sportello del frigorifero. Niente pasti mordi e fuggi: devono durare almeno 20 minuti, che è il tempo minimo entro il quale il sistema nervoso registra il senso di sazietà, quelli mentalmente necessari a rendere consapevoli di ciò che si sta mangiando e ad acquisire un senso di gratificazione fisica e di stomaco. E soprattutto gustare le pietanze da seduti: in questo modo l’organismo non riesce a ingannarsi sulle calorie ingerite ma lo si rende responsabile di quanto si sta mangiando e lo si invita a ragionare - alimentarmente parlando - con la testa e non con la pancia. Strategia che evita di mettere qualche caloria in più nel piatto, cedendo alla gola.