Ecco cosa vedono gli studenti del liceo artistico dalla loro casa
“La finestra sul cortile”, da un’idea dei ragazzi con il coordinamento del professor Enrico De Pascale
In questi giorni di forzata reclusione per il Coronavirus, il filo diretto tra gli studenti del liceo artistico “Giacomo e Pio Manzù” di Bergamo e i loro professori non si è mai interrotto; non solo sul piano della didattica (che nonostante tutto continua, seppure a distanza e tra non poche difficoltà), ma anche su quello dei progetti artistici, uno dei pilastri della formazione dell’istituto.
I progetti. Proseguendo una felice tradizione di iniziative culturali che negli anni hanno avuto come protagonisti gli studenti nel duplice ruolo di autori e soggetti di performance fotografiche – tra le altre ricordiamo quelle relative alla mappatura dei tatuaggi, all’iconografia della “lotta di classe”, alla campagna contro il fumo, al tema delle “ragazze che leggono”, all’indagine sui luoghi dello studio o sulle scarpe preferite – nei giorni scorsi è nato il progetto “La finestra sul cortile”. L’idea è nata per valorizzare in senso creativo le lunghe giornate trascorse in cattività: un tempo improvvisamente sospeso e dilatato che ha indotto studenti e docenti a considerare lo spazio del quotidiano con una consapevolezza e uno sguardo nuovi, in condizioni mai prima sperimentate, lontano dagli amici, dagli abituali luoghi dello studio, del divertimento, dello sport, dell’arte.
Il presupposto culturale è stato il ricordo di una mostra vista alcuni anni fa da alcune classi del nostro Liceo al Museo di Lugano (Musi) intitolata “Una finestra sul mondo. Da Dürer a Mondrian e oltre”: una splendida sequenza di dipinti, disegni, fotografie, installazioni, video ecc. che invitavano a riflettere sul tema cruciale della finestra come metafora dell’opera d’arte intesa quale “finestra sul mondo”. A partire dal XV secolo, con la rivoluzione culturale del Rinascimento italiano, le sperimentazioni prospettiche di Brunelleschi e le teorizzazioni di Leon Battista Alberti, l’opera d’arte pittorica è andata configurandosi come una rappresentazione dello spazio in senso illusionistico, simile, appunto, a una finestra spalancata sul mondo reale. «Tale modello è stato sperimentato, approfondito e applicato dagli artisti – da Piero a van Van Eyck, da Antonello a Caravaggio, da Rembrandt a Canaletto – secondo molteplici varianti: da quella basilare del dipinto inteso letteralmente come finestra, il cui immaginario telaio è costituito dalla cornice a quella della finestra “dentro” il dipinto (con un vertiginoso effetto di raddoppiamento e di sfondamento delle spazio pittorico) a quella, ancora, del “quadro dentro il quadro” con tutte le implicazioni che ne conseguono sul piano del “metapittorico”, come lucidamente analizzato da Victor Stoichita. È risaputo che nel corso del Novecento le avanguardie artistiche – dall’Espressionismo al Cubismo, dal Dadaismo alla Pop Art e oltre – hanno messo in discussione il tradizionale concetto di “quadro-finestra” sperimentando nuove soluzioni e nuovi linguaggi che ne hanno determinato il suo sostanziale superamento», scrive il professor Enrico De Pascale.
Il dipinto come finestra. Oltre che come metafora del “visivo” pittorico e modello di “inquadramento” prospettico del mondo, l’oggetto “finestra” può suggerire ulteriori livelli di lettura se considerato come sinonimo di soglia, limen, luogo di separazione, ma anche di contatto e attraversamento tra interno ed esterno, privato e pubblico, chiuso e aperto. Da tali sollecitazioni (e da molte altre) è nata la proposta (tuttora in corso) di una performance collettiva denominata “La finestra sul cortile” (citando il celebre film di Alfred Hitchcock) in grado di “sfruttare” la condizione di isolamento imposta dalla pandemìa. Tutti i partecipanti (studenti ed ex studenti, docenti ed ex docenti e personale Ata) sono stati invitati a fotografare la finestra della propria stanza, quella da cui in queste interminabili giornate si è avuto modo di osservare il mondo come mai prima; una semplice immagine scattata col cellulare per documentare non solo (o non tanto) lo “status” di forzata clausura o la predilezione per determinati modelli figurativi ma anche la “temperatura” di uno sguardo dolorosamente trasformato da un’esperienza senza precedenti (per noi bergamaschi particolarmente drammatica). Provenenti sia dalla provincia di Bergamo che dalle città oggi luogo di residenza di molti ex studenti (da Roma a Berlino, da Milano a Londra, da Madrid a Bruxelles), le fotografie costituiscono una sorta di mappa virtuale, una collezione di sguardi, un diario visivo quale testimonianza e racconto di questa particolare esperienza.