Un servizio gratuito di sostegno

Lo psicanalista che ci aiuta ad affrontare tutta l'angoscia, la paura e il dolore che stiamo vivendo

«Ieri ho sentito un’infermiera, una caposala. È scoppiata a piangere quando mi ha detto che finalmente un suo paziente è guarito. Piangeva di gioia... ma quanto dolore stava reprimendo?»

Lo psicanalista che ci aiuta ad affrontare tutta l'angoscia, la paura e il dolore che stiamo vivendo
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Nelle case la gente si rifugia, ma non tutti stanno bene. Ci sono famiglie che hanno ritrovato un’armonia, altre che scoppiano. Ci sono famiglie con figli in difficoltà, alcune che si appoggiavano molto alla scuola, ai servizi sociali e adesso devono affrontare tutto da sole. Ci sono infermieri e medici che non ce la fanno più. Per tutte queste ragioni, lo psicoterapeuta Mattia Maggioni, di Bergamo, insieme ad altri settanta colleghi bergamaschi, ha avviato un programma gratuito di supporto psicologico.

Dottore, di che cosa si tratta?

«Si tratta di incontri con lo psicologo, sette incontri gratuiti, fatti ovviamente attraverso Skype, o per telefono, o via Whatsapp audio o video».

Come è arrivato a questa proposta?

«È una situazione mai vista, la gente è chiusa in casa da un mese, alcuni hanno visto morire i propri cari, c’è una sensazione di lutto che ci riguarda tutti. Abbiamo ritenuto che un aiuto, un ascolto, in questo momento, potesse essere importante».

Qualcuno si è già rivolto a voi?

«Sì. Dico la verità, noi, in un primo momento, avevamo pensato soprattutto agli operatori sanitari, medici, infermieri, Oss, sia degli ospedali che dei centri diurni che delle case di riposo... poi ci siamo accorti che ci chiamavano persone normali, familiari di qualcuno che si era ammalato, persone che non ce la fanno più a stare chiuse in casa...».

Che tipo di problemi si verificano?

«Dei più diversi. Mi viene in mente la signora di 74 anni che ci chiama perché le vengono attacchi di panico, perché sente la realtà frantumarsi, non riesce a controllarsi, viene presa dall’angoscia, ha paura di morire. Questa signora la assistiamo mediante il telefono, con sedute telefoniche. Un caso molto diverso è quello di una famiglia siriana, arrivata a Bergamo un mese e mezzo fa, all’inizio dell’emergenza. Arrivano da una tragedia durata anni, non parlano italiano, il padre ha sviluppato grossi problemi psichici dovuti alla guerra e ora sono chiusi in casa... Con loro ci colleghiamo via Skype, grazie anche a volontari...».

E i suoi malati normali, quelli che già venivano da lei per la psicoterapia?

«Quelli continuano regolarmente, la maggior parte via computer, qualcuno per telefono. Certo, non è la stessa cosa perché nella psicoterapia l’ambiente abituale è importante. Però è sempre meglio che niente, c’è un buon grado di adattabilità. E ci sono dei cambiamenti».

Per esempio?

«Per esempio, è interessante che i pazienti ipocondriaci abbiano pressoché superato l’ipocondria».

E come è possibile?

«Io penso questo. Oggi tutti abbiamo paura della malattia, del Coronavirus, giusto?».

Giusto.

«È un impatto enorme, e condiviso da tutti, è la nuova “normalità”. Quindi, la paura delle malattie non rappresenta più, per l’inconscio dell’ipocondriaco, una difesa, una risposta nevrotica a chissà quali problemi psichici. È la norma, non è più un’arma psichica di difesa. Questi soggetti ipocondriaci quindi hanno trasferito le loro paure altrove. Paradossalmente, non hanno più paura delle malattie, non più di altri».

Questa situazione di isolamento genera ansia.

«Certamente, in molti. Un altro elemento che genera ansia è l’incertezza, sia per quanto riguarda la malattia, sia per quanto riguarda le informazioni: tutte queste fake news che stanno piovendo, disorientano le persone».

Medici e infermieri?

«Loro sono sotto stress forte. Si fanno carico di una sofferenza enorme e attuano giuste strategie di difesa, ma che a volte non bastano. Una strategia è il cosiddetto distacco professionale, ma non è bastevole. Anche il senso di impotenza genera frustrazione, rabbia, dolore. Ieri ho sentito un’infermiera, una caposala. È scoppiata a piangere quando mi ha detto che finalmente un suo paziente è stato certificato guarito da Covid-19. Piangeva di gioia... ma quanto dolore stava reprimendo? Quanto dolore si è sfogato in quel pianto?».

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