La strage nelle case di riposo e le accuse ad Ats e Regione: «Ci hanno impedito di chiudere»
di Matteo Rizzi
Le case di riposo sono falcidiate. Si è letteralmente perso il conto delle vittime che il Covid-19 ha fatto tra i nostri anziani ospitati nelle strutture di tutta la Provincia. Un'indagine de L'Eco di Bergamo basata sui posti letto rimasti liberi tra i 6196 occupati a fine febbraio tra tutte le strutture mostra che lo scenario più ottimistico parlerebbe di almeno cinquecento morti, con l'eventualità che un conteggio ufficiale potrebbe raccontare addirittura di oltre settecento morti. Sta di fatto che se rapportato allo stesso periodo dell'anno scorso i decessi di questo mese sono aumentati almeno di quindici volte. Una strage tangibile in ogni casa di riposo.
L'Eco riporta un elenco straziante di dati legati alle singole strutture: 25 decessi contro i tre dello scorso anno a Sarnico; 22 decessi contro i due dello scorso anno a Costa Volpino; 20 contro zero a Stezzano; 12 contro due a Lovere; addirittura 57 contro quattro a Brembate Sopra; 31 a due per quanto riguarda Nembro; 20 a cinque per Alzano. Il resoconto di una tragedia vera e propria, con l'inquietante avvertimento: mancano ancora i dati ufficiali e i contagi comunque continuano.
Numeri che rispecchiano una tragedia nazionale, in cui le persone anziane sono tra le più colpite e quelle che peggio reagiscono a un eventuale contagio. Numeri che rispecchiano però delle decisioni difficilmente comprensibili compiute da Ats e della Regione Lombardia relativamente a una tematica - quella delle case di riposo - che durante tutta questa emergenza è spesso passata sotto traccia. Sulle pagine de L'Eco di Bergamo ha parlato Orazio Amboni, responsabile del dipartimento Welfare della Cgil Bergamo: «Fino a ieri queste strutture con i loro ospiti e i loro ospiti erano rimaste sullo sfondo pur essendo luoghi al cui interno si erogano, a tutti gli effetti, prestazioni di carattere sanitario come in ospedale. Eppure nessuno si è preoccupato di tutelare le persone che vivono o lavorano al loro interno».
Nello specifico, diverse testimonianze di operatori sanitari impiegati in strutture di accoglienza per anziani raccontano di una grave carenza di protezioni per i dipendenti e di tamponi mai avvenuti, nonostante tra il personale di alcune strutture si siano registrati picchi di assenze per malattia fino al cinquanta per cento. Sempre nel servizio de L'Eco si legge la testimonianza di Maria Giulia Madaschi, responsabile della Martino Zanchi Onlus di Alzano: «Nessuno di noi, sia ospiti sia lavoratori, è stato sottoposto a un tampone che sia uno. Siamo stati lasciati soli ed è stata soltanto nostra la decisione presa il 23 febbraio di chiudere la struttura alle visite dei parenti e di non accettare più nuovi ospiti».
Per l'appunto, delicatissima la questione della chiusura delle case di riposo alle visite: molti operatori e responsabili della struttura avevano compreso già dalle prime avvisaglie la necessità di chiudere le loro strutture, individuando specialmente nei servizi di centro diurno. Nel migliore dei casi, tuttavia, allora le strutture rimanevano chiuse al pubblico per un paio di giorni e poi - così denunciano ora gli operatori - venivano costrette alla riapertura da Ats, con continue pressioni e tagli di fondi per interruzione di pubblico servizio. Una situazione descritta in un articolo del Corriere Bergamo, in cui si legge che già da febbraio le case di riposo erano entrate in allarme, chiudendo i centri diurni anticipando così ogni misura regionale. È a quel punto che Ats avrebbe imposto la riapertura, parlando di sospensione dell'accreditamento per interruzione di pubblico servizio per chi avesse deciso comunque di chiudere i centri diurni.
La testimonianza emblematica arriva in questo caso dalla Casa ospitale Aresi di Brignano: «Appena sono stati segnalati i casi di Codogno - ha spiegato al Corriere il presidente Marco Ferraro - avevamo individuato nel centro diurno il pericolo maggiore e così dal 23 febbraio avevamo chiuso il servizio. Poi è arrivata la nota di Ats che diceva di tenere aperto, altrimenti avremmo rischiato di perdere la contrattualizzazione per interruzione di pubblico servizio». Ferraro racconta poi di un'ispezione di Ats per verificare che il centro diurno fosse aperto. Il divieto di chiudere era stato poi implicitamente diffuso da Ats il giorno seguente, quando le strutture come i centri diurni non erano incluse nella lista delle attività da sospendere, e durante un incontro tra Ats e le associazioni di categoria era stato ribadito il «severo divieto» di sospendere o interrompere il funzionamento delle strutture socio-sanitarie.
Respinte poi, come ricorda il presidente dell'Associazione Case di Riposo Bergamasche Cesare Maffeis, anche le successive richieste di chiusura, sia da Ats che da Regione Lombardia. Il servizio è stato sospeso due settimane dopo: troppo tardi e ora si contano i morti. Nella conclusione di Marco Ferraro ci sono tutto lo sconforto e l'amarezza di fronte agli eventi: «È brutto doversi attenere a disposizioni di ordini superiori anche se non si capiscono. Forse bisognerebbe ascoltare di più chi vive direttamente le situazioni». La replica di Ats è attesa a giorni.