Il sindacato degli infermieri: «Ci chiamano eroi ma non ci pagano tutte le ore di lavoro»

Si è tanto parlato in questi mesi dello sforzo immane del personale sanitario, medici e infermieri impegnati per curare e dare conforto ai pazienti Covid ricoverati nei reparti ospedalieri. Tuttavia, come denuncia Mauro Moscheni, presidente del sindacato infermieristico Nursind, «ci chiamano eroi ma non ci vengono pagate tutte le ore lavorate». E la beffa è che al momento non si ha una prospettiva precisa rispetto alle tempistiche entro cui queste ore verranno pagate.
Un impegno che, inoltre, ha esposto questi professionisti al rischio del contagio. In particolare, Moscheni si riferisce alla situazione vissuta dagli infermieri del settore pubblico (che a Bergamo riguarda le Asst Bergamo Est, Ovest e Papa Giovanni) perché in quello privato possono sussistere accordi in parte diversi tra azienda e lavoratori. «Al personale part-time è stato comunicato che l’orario di lavoro sarebbe stato portato a tempo pieno, una decisione prevista dal contratto nazionale – spiega -. Un infermiere part-time che prima lavorava 18 ore la settimana è passato a 36 ore settimanali».
Alcuni infermieri tra marzo e aprile hanno lavorato 170 ore, anziché le 80 mensili. «Si potrebbe pensare che le ore andrebbero pagate tutte ma il contratto resta part-time – prosegue -. In base al contratto in vigore, il datore di lavoro può chiedere fino a 36 ore settimanali supplementari pagandole il 15 per cento in più. Non si tratta di straordinari, perché questi ultimi scattano dopo le 36 ore, ai quali viene riconosciuto il 25 per cento in più».
Per l’emergenza in Lombardia, il Governo aveva stanziato 40 milioni di euro da riconoscere alle prestazioni aggiuntive, mentre Regione ulteriori 80 milioni, «ma i fondi devono essere ancora ripartiti tra aziende e personale. A livello regionale queste risorse sono da contrattualizzare con le organizzazioni sindacali, ma in Lombardia non è ancora stato fatto».
Il risultato è che chi prima lavorava part-time ha lavorato a tempo pieno, ma vedendosi ancora riconosciuto lo stipendio precedente. «Se si chiede il massimo non mi sembra giusto che le persone non ricevano nulla o non abbiano una chiara prospettiva di ricevere il compenso per il lavoro svolto», conclude Moscheni.