Quando Leffe insegnava ai persiani: Luigi Bosio e le coperte di Teheran alla corte dello Scià
La storia del leffese che nel 1956, in Iran, fece crescere una grande azienda. Il figlio Gianfranco guida oggi il Museo del Tessile. «Una generazione che univa cultura del lavoro e altissime competenze»
di Giambattista Gherardi
Pionieri in patria e nel mondo, artefici di un miracolo industriale che più di sessant’anni fa esportava prodotti, ma anche competenze di altissimo livello. La storia di Leffe e degli anni ruggenti in cui i telai lavoravano senza sosta nelle manifatture e negli scantinati di casa ha avuto quali alfieri illuminati industriali, i celeberrimi “Coertì” (ambulanti che raggiungevano ogni angolo d’Italia) e maestranze che univano alla cultura del lavoro tipicamente bergamasca, intuito e conoscenze tecniche ineguagliabili. Fra le tante storie che affiorano dai ricordi emblematica è quella di Luigi Bosio che nel 1956, ad appena 36 anni, lasciò la Val Gandino per raggiungere Teheran, capitale dell’Iran, allora nota come Persia. Una scelta di vita che incrociò suo malgrado i grandi scenari della storia e dell’economia mondiale.
«In un giorno fatidico del 1956 - racconta il figlio Gianfranco - mio padre si era licenziato da una ditta di Leffe e stava rientrando a casa. Nella zona dell’attuale piazza Libertà (allora occupata dallo stabile “della sciura Lisa”, poi abbattuto nel 1972) incontrò un conoscente, Vito dol Serval, che gli chiese cosa facesse in giro durante l'orario di lavoro. Papà Luigi raccontò del licenziamento ed espresse il desiderio di trovare una nuova occupazione, che però non doveva essere concorrente da vicino della ditta appena lasciata».
In quegli anni per trovare lavoro bastava chiedere. Vito propose subito a Luigi di seguirlo all’indomani alla Fiera Campionaria di Milano, dove gli avrebbe presentato un progetto «lontano e stimolante». Nacque così il viaggio a Teheran, dove Luigi venne incaricato di trasformare una piccolissima tessitura locale (con quattro telai piuttosto malconci) in una moderna manifattura utile a produrre coperte. Una necessità dettata dal mercato interno, a dispetto di quanto si possa ipotizzare per una terra ai limiti del deserto.
Teheran, con circa otto milioni e mezzo di abitanti, è la città più grande di tutta l’Asia Sud-occidentale, ma soprattutto si trova a oltre 1200 metri sul livello del mare (più o meno come Schilpario in Val di Scalve), ai piedi dei monti Elbruz. «Malgrado d'estate si raggiungano facilmente i 40 gradi - sottolinea Bosio -, d'inverno fa molto freddo: si arriva a 5 gradi sottozero e spesso nevica». I rapporti fra Italia e Iran in quegli anni sono particolarmente fitti: dalla nostra Penisola partono infatti tecnici e maestranze che, come Luigi, portano competenze, avviando aziende e costruendo strade, ponti e dighe. In Italia arrivano tappeti e caviale, ma anche e soprattutto petrolio, con gli iraniani che trovavano sponda in Enrico Mattei per combattere le “sette sorelle” che formavano il cartello che monopolizzò il mercato sino alla crisi del 1973.
Luigi Bosio realizzò a Teheran un piccolo “miracolo leffese”: sotto la sua direzione vennero installati tintoria, filatura, tessitura, finissaggio (garzatrici) e reparto confezione. Tutto con macchinari e materie prime italiane. L’azienda vendeva tutto sul mercato interno, anche con negozi di proprietà, ed esportava una parte di produzione nei Paesi vicini. Nell’album dei ricordi ci sono anche le foto relative alla visita dello Scià di Persia (Mohammad Reza Pahlavi) poi esautorato dalla rivoluzione islamica del 1979.
Nel 1957 Luigi portò in Iran anche la moglie Maddalena e i figli Mariarosa (5 anni) e Gianfranco (3 anni). Laggiù si formò una bella comunità di Italiani, legata in particolare ai missionari Salesiani. «Ricordo – spiega Gianfranco – un missionario bergamasco di Osio, le scuole gestite dalle suore Figlie di Maria Ausiliatrice e anche una visita di mons. Andrea Spada, direttore de L’Eco di Bergamo, impegnato in un reportage sul Medio Oriente. L'azienda continuava a crescere: vennero aggiunti un settore per la produzione di piastrelle in ceramica (con tecnici arrivati da Sassuolo), reparti per plastica e gommapiuma, addirittura gelati. Papà Luigi era per tutti un riferimento, per la lingua e per i rapporti con le maestranze. La nostra casa (con relativi pranzi) divenne un’oasi felice per tanti tecnici in trasferta».
Nel 1972, alla vigilia della crisi petrolifera, Luigi Bosio rientrò a Leffe con la famiglia, per gestire una tessitura allora ubicata nello stabile che oggi ospita il Museo del Tessile e dove Gianfranco è presidente del gruppo di volontari dell’Associazione ARTS che lo gestisce, mettendo in mostra una filiera completa e funzionante di macchinari d’epoca. «Mio padre tornò diverse volte in Iran – conclude Bosio – in qualità di tecnico meccanotessile per la Somet. La sua storia è il segno di una generazione che ha fatto del lavoro un’arte e, soprattutto, un valore».