Per le aiuole della città è l'era dei muretti bianchi (bellini, ma non esageriamo)
di Angela Clerici
Una volta c’erano i muretti a secco (ce ne sono ancora sui colli), poi sono arrivati quelli tenuti insieme dalla calce. A fine Ottocento, sono diventati di moda quei muretti bassi che fanno venire in mente delle roccette: irregolari, un misto di sassi che salgono e scendono, si gonfiano e si stringono, come se fossero una barriera naturale. A un certo punto, a delimitare le aiuole sono arrivate anche delle barriere di metallo, dipinte di verde, alte una trentina di centimetri: sottili tondini di ferro piegati a U, con la gobba però in alto. Se ne vedono ancora sul Sentierone, ma non per molto tempo: affrettatevi, prima del “restyling”.
Adesso è il momento dei muretti bianchi. Stanno spuntando in tutte le nuove piazze, dalla stazione a piazzale Alpini, a piazza Risorgimento. Arriveranno, magari non bianchissimi, ma comunque geometricamente perfetti e puliti, anche sul Sentierone. Segno dei tempi, dei gusti che cambiano. Il segno degli Anni Duemila, anzi, del secondo decennio. Perché un conto è dire “anno Duemila” e un conto è dire “anno 2020”. Altra sensibilità. Come se confrontassimo il 1900 con il 1920.
I muretti bianchi sono sbarcati in città forse con il piazzale Marconi, alla stazione e hanno segnato l’intervento con curve e segmenti: in ogni caso, danno un senso di chiarezza, di spazio, di pulizia. Fanno da limite per le aiuole, segnano il confine con le zone calpestabili, in pietra o in asfalto che siano. E fanno pure da panchina. Si combinano in genere a spazi ampi e vuoti. All’inizio, alla stazione, contribuivano a quel senso di vuoto che si era creato e che per fortuna è stato contrastato con l’arrivo di un bel po’ di verde.
Il senso di ordine e di pulizia è sbarcato pure al piazzale Alpini che ora dà l’idea di una spianata, i giardini che si volevano alla fine degli anni Cinquanta del Novecento restano un ricordo. Ma i muretti bianchi sono entrati decisamente anche nel paesaggio di Loreto e in particolare di piazza Risorgimento, che pure oggi appare linda e pulita, geometricamente coerente e presenta un grande sviluppo dei muretti bianchi, che prima o poi si sporcheranno... o no?
Comunque, al di là del fatto che i muretti bianchi si sporchino, si graffino, rompano o possano diventare delle non simpatiche lavagnette su cui scrivere, forse non è il caso che invadano tutta la città. In particolare: ha fatto bene la Sovrintendenza a impedire che il muretto a “roccette” del laghetto dei cigni, il monumento a Donizetti, venisse eliminato, sostituendolo magari ancora con i famigerati muretti bianchi. Perché il bello magari è soggettivo, ma la provenienza culturale no. E allora i muretti “a roccette” lasciamoli al loro posto perché stanno a indicare un preciso momento storico, danno un piccolo significato in più alla nostra città, un contenuto. Quello di un periodo vagamente romantico, da belle époque, quando pure la città divenne protagonista di un grande sviluppo: tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento si ricostruì il teatro Donizetti, si fece il momento attiguo, venne realizzato il cimitero monumentale, si costruì il centro piacentiniano, si eresse il nuovo manicomio e, alla fine degli anni Venti, si costruirono persino l’ospedale di via Statuto e lo stadio... Furono anni importanti. Le “roccette” arrivano da lì, meritano rispetto.
Con buona pace dei muretti bianchi.