Ora è il sindacato dei medici a dirlo: «L'Ospedale di San Giovanni Bianco è meglio che chiuda»
Presa di posizione di Anaao Assomed: «Nessun comune dell'Alta Valle è così distante, in termini di trasporto sanitario organizzato e urgente, da Bergamo. Non esiste un supporto teorico e scientifico a mantenere un ospedale per acuti in Valle Brembana»
di Giambattista Gherardi
Sembra un copione già scritto, per il quale nelle ultime settimane si stanno sempre più intensificando le prove generali, ahimé con un finale che non appare del tutto lieto. Nonostante l’unanime presa di posizione dei sindaci brembani che hanno approvato una mozione per chiedere il ripristino di consoni livelli di assistenza presso l’ospedale vallare di San Giovanni Bianco (minacciando anche il ricorso alle vie legali), nuove nuvole si addensano sull’unico presidio ospedaliero della Valle. Al “cahier des doléances” che attraverso testimonianze dirette di tanti cittadini elenca servizi sospesi e intermittenti, si sono aggiunte nelle ultime ore la segnalazione dell’avvio della cassa integrazione a rotazione per il personale del servizio mensa (gestito dalla S.I.A.R.C. di Catanzaro) e, soprattutto, la presa di posizione del maggior sindacato italiano dei medici ospedalieri italiani, l’Anaao Assomed, che sostiene di fatto l’ipotesi chiusura e indica nella creazione di «ambulatori specialistici diffusi, presidi per subacuti, riabilitazioni, capillare distribuzione di infermieri di comunità e lavoro in team con i medici di medicina generale» la via utile per il prossimo futuro.
«Le infinite polemiche sull'ospedale di San Giovanni Bianco - si legge nel comunicato pubblicato con grande evidenza sul quotidiano L’Eco di Bergamo e firmato da Anna Paola Callegaro, segretario aziendale Anaoo-Assomed dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo - e sulla presunta carenza di servizi, lamentata a gran voce dai sindaci dell'alta Valle, pongono per l'ennesima volta il problema dell'incapacità politica di parlare chiaramente. Certamente non saranno i medici e i dirigenti sanitari pubblici a sostituirsi agli amministratori, ma il nostro punto di vista può servire a chi, pur incapace sinora di ascoltare i tecnici e di andare al di là della logica puramente elettorale, deve decidere il futuro della sanità brembana e non solo. Ovviamente il decisore politico finale è la Regione, che però è sempre stata più sensibile ai voti e ai sindaci di quanto non lo sia mai stata nei confronti di chi deve garantire il diritto costituzionale alla salute. Diritto che va garantito secondo criteri e parametri dettati dalla moderna scienza medica, che non può essere quella su cui sono stati modellati gli ospedali degli anni '60 e '70».
«Premesso tutto ciò - continua il comunicato dei medici ospedalieri - l'ospedale della Valle Brembana è attualmente sicuro per quanto riguarda il pronto soccorso e l'emergenza/urgenza proprio perché è strettamente collegato con il Papa Giovanni, che anche prima di fondersi con esso nell'attuale Asst ne era il punto di riferimento, a differenza di Treviglio, troppo lontano e sfornito di elevate specialità. Il percorso non è però ancora completato: la sicurezza totale l'avremo quando si prenderà atto che un pronto soccorso così vicino a un grande ospedale non ha ragione d'essere con volumi così bassi. Dal momento che i sindaci fanno riferimento al Decreto ministeriale 70/2015, ricordiamo che nessuno dei requisiti posseduti dall'ospedale vallare è riconducibile al cosiddetto presidio ospedaliero di base: non la popolazione, non i volumi, non gli accessi al pronto soccorso. Pertanto, a rigore di norma nazionale, l'ospedale di San Giovanni Bianco potrebbe essere a tutti gli effetti un presidio ospedaliero in zona particolarmente disagiata. Peccato che tale tipologia di presidio è prevista nel decreto esclusivamente per “zone particolarmente disagiate, distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento” e certamente nessun comune dell'alta Valle è così distante, in termini di trasporto sanitario organizzato e urgente, da Bergamo. Quindi a ben vedere non esiste un supporto teorico e scientifico a mantenere un ospedale per acuti in Valle Brembana».
«Situazioni di questo tipo - continua Callegaro - sono frequenti in Lombardia e certamente i medici soffrono le difficoltà a garantire standard adeguati in assenza di volumi e organici adeguati. Ma mentre gli organici sono in teoria aumentabili, posto che vi sia qualcuno che voglia lavorare in luoghi così insicuri per pazienti e operatori, resta il fatto che i volumi non si danno da soli. Una delle tante prove di questo è la continua fuga di medici verso altri lavori meno impegnativi e pericolosi. Ricordiamo che abbiamo già sottolineato come l'ospedale Papa Giovanni sia in difficoltà a garantire i servizi a San Giovanni Bianco e alcuni medici hanno lasciato il lavoro proprio per evitare di salire lassù. Altra dimostrazione è la decina e più di bandi per reclutare personale medico per la Medicina interna andati a vuoto. Polemiche interne e proteste non mancano da anni a Bergamo quando si tratta di coprire turni a San Giovanni Bianco. Nessuno, in assenza di incentivi più volte chiesti e mai accettati, ha il diritto di biasimare queste scelte professionali: i medici, come tutti i professionisti, chiedono di lavorare in sicurezza. Occorre quindi fare molta attenzione prima di rivendicare servizi ingestibili con sicurezza in certi ospedali e non bisogna spacciare appunto per sicurezza per i cittadini l'ospedale sotto casa, come abbiamo più volte ribadito in questi mesi. Inutile riempirsi la bocca di affermazioni quali rinforzo del territorio quando si scambia questo rinforzo con il mantenimento di ospedali che non hanno più ragion d'essere. Il territorio si rinforza con ambulatori specialistici diffusi, presidi per subacuti, riabilitazioni, capillare distribuzione di infermieri di comunità e lavoro in team con i medici di medicina generale».
L’impressione, come detto, è che vi sia la convinzione fra tutti gli attori della commedia e del copione di cui dicevamo in apertura, che il destino del nosocomio brembano sia sostanzialmente segnato, progressivamente svuotato di servizi e competenze e per questo ora «poco sicuro» e destinato a perire nel nome della ferrea legge dei numeri, vera nemica della montagna. Il comunicato di Anaoo Assomed arriva, ironia della sorte, nel giorno in cui il presidente nazionale Carlo Palermo lancia all’Ansa un allarme sulla “tenuta” del sistema ospedaliero nel caso di seconda ondata Covid. «Con i numeri attuali della pandemia - afferma Palermo - gli ospedali italiani potranno reggere almeno per cinque mesi e al momento la situazione è gestibile, ma se dovessimo assistere a un aumento esponenziale dei casi come sta accadendo in altri Paesi, allora il sistema ospedaliero avrebbe una tenuta di non oltre due mesi». Se si passasse dai circa cinquemila casi di contagio giornalieri agli oltre diecimila come in Francia, rileva Palermo, «si rischia il crollo della prima trincea ospedaliera anti-Covid, perché gli ospedali non sono pronti a far fronte ad un'epidemia esponenziale. Già ora si iniziano a registrare delle criticità, a partire dal personale sanitario carente e dalle strutture che non sempre garantiscono percorsi differenziati». Potremmo insomma (speriamo di no) tornare in trincea, ma a San Giovanni Bianco il timore è che il fronte sia già saltato.