La sentenza sulla proprietà della chiesetta agli ex Riuniti: che schiaffo alla Regione!
Il tribunale in primo grado dà ragione all'Associazione Musulmani di Bergamo. La Giunta dovrà pagare 8 mila euro di spese e pubblicare sul Corriere la sentenza. La prelazione non è valida e c'è stata discriminazione
di Andrea Rossetti
La partita rischia di essere ancora lunga, ma l’Associazione Musulmani di Bergamo ha messo a segno un gol di grande peso specifico nella sfida contro Regione Lombardia che vede in palio la proprietà della chiesetta agli ex Riuniti. Il Tribunale di Bergamo, infatti, in primo grado ha dato ragione all’Associazione, annullando l’efficacia della prelazione che la Giunta regionale aveva fatto valere onde evitare che i musulmani prendessero possesso dell’immobile.
Le puntate precedenti. Data la complessità della vicenda, è utile un breve ripasso. Nel 2018, l’Asst Papa Giovanni XXIII aveva messo in vendita la Chiesa-Casa dei Frati Cappuccini di Bergamo. A fine ottobre di quell’anno, all’apertura delle buste si scoprì che ad aggiudicarsi l’immobile era stata l’Associazione Musulmani di Bergamo, che aveva (e ha ancora oggi, immaginiamo) intenzione di rendere l’ex chiesetta un loro centro di culto. Sebbene i membri dell’Associazione abbiano sempre evitato “battaglie” mediatiche, era evidente la loro volontà di aggirare, in modo legale, la legge regionale del 2015 rinominata “anti moschee”, un provvedimento che, di fatto, ha reso impossibile la costruzione di nuovi luoghi di culto sul territorio lombardo. Una legge che va a colpire soprattutto la comunità islamica, la più numerosa in Lombardia.
Davanti all’impossibilità di costruire nuovi luoghi di culto, l’Associazione Musulmani ha valutato che l’unica soluzione percorribile fosse entrare in possesso di un immobile che avesse già quella destinazione d’uso. Non è un caso che al bando di vendita avesse partecipato anche la comunità ortodossa rumena, che fino a quel momento aveva usufruito gratuitamente degli spazi della ex chiesetta e che ancora oggi, nonostante le minacce di sfratto, li utilizza.
Fatto sta che l’Associazione, avendo presentato l’offerta più alta, nel 2018 divenne ufficialmente la proprietaria dell’ex chiesetta. Una notizia che fece scalpore e che divise l’opinione pubblica. E proprio sull’onda del malcontento di alcuni, Regione decise di reagire: nonostante fosse stata lei stessa, di fatto, a vendere il bene (l’Asst Papa Giovanni è un ente controllato da Regione), decise di pareggiare l’offerta dell’Associazione Musulmani e far valere il diritto di prelazione, riacquistando dunque da se stessa l’ex chiesetta. Sentendosi presi in giro (comprensibilmente), i vertici dell’Associazione reagirono prima presentando un ricorso al Tar per ottenere un annullamento dell’atto (luglio 2019) e poi facendo direttamente causa alla Regione per tutelare il diritto di proprietà, a loro parere acquisito nell’esatto momento in cui è stato sottoscritto l’atto notarile per l’acquisto dell’immobile.
I motivi della causa. La causa presentata dall’Associazione ruotava principalmente attorno a due questioni: innanzitutto il fatto che Regione avesse “azionato” la prelazione quando la vendita era già stata autorizzata (per di più da Regione stessa attraverso l’Asst Papa Giovanni); in secondo luogo il fatto che Regione, attraverso il suo operato, avesse compiuto un’azione discriminatoria, dato che il suo intento non era valorizzare un patrimonio culturale della comunità, ma semplicemente evitare l’acquisto a un determinato soggetto. E su entrambi i punti, il giudice Laura Brambilla, nella sentenza, è stata molto chiara: la ragione è tutta dalla parte dell’Associazione Musulmani.
La sentenza. In una ventina di pagine, la sentenza prima ricostruisce l’intera vicenda, poi presenta le tesi di entrambe le parti in causa e infine, dopo un’attenta analisi di tutti gli elementi, chiede a Regione di revocare il proprio atto di prelazione, di fatto riconoscendo la giustizia delle richieste avanzate dall’Associazione. Nello specifico, il Tribunale sottolinea come Regione abbia reso nota la propria decisione di esercitare la prelazione subito dopo aver scoperto che l’aggiudicataria della chiesetta agli ex Riuniti fosse risultata l’Associazione Musulmani di Bergamo, senza dunque rispettare i tempi previsti dalla legge; ma soprattutto viene ritenuta discriminatoria la condotta tenuta da Regione nei confronti dell’Associazione.