Tragedia di Azzano, il papà di Matteo Ferrari: «Vado fino in fondo». E la procura farà ricorso
«Ignorati molti elementi presenti nelle carte. La cosa che più ci ha ferito è il concorso di causa: Luca e Matteo sarebbero corresponsabili della loro morte. Una follia»
di Maria Teresa Birolini
Speronati per quattordici metri. Così, secondo la perizia cinematica, sono stati uccisi nella notte fra il 3 e 4 agosto 2019, Matteo Ferrari e Luca Carissimi. I due amici viaggiavano su uno scooter di ritorno dalla discoteca Setai, quando all’altezza del semaforo di Azzano San Paolo furono travolti da una Mini Cooper. Alla guida c’era Matteo Scapin, con il quale i ragazzi, pochi minuti prima, avevano avuto un diverbio, nel piazzale del locale, pare per un apprezzamento di troppo alla fidanzata. La stessa ragazza, Elena Maria Pirovano, era a fianco dello Scapin su quell’auto e risulta essere la testimone chiave per capire davvero in quali circostanze morirono i due ragazzi di soli 19 anni. A lei, alla sua coscienza, si era rivolto nelle scorse settimane, con un’intervista a noi di PrimaBergamo, il papà di Matteo Ferrari. Un appello caduto nel vuoto, ma che oggi, a cinque giorni dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza che ha condannato lo Scapin per omicidio stradale a 6 anni e 8 mesi, Alessio Ferrari rinnova sempre dalle pagine del nostro settimanale.
«Il rito abbreviato vincola il procedimento alla consultazione degli atti contenuti nel fascicolo. Ma la sentenza e quindi le motivazioni non hanno tenuto conto di molti elementi oggettivi presenti in quelle carte».
Di quali elementi parla?
«Quella maledetta sera, lo Scapin era al Setai per la festa di compleanno di una sua ex fidanzata. Insieme a lui c’era Elena Maria Pirovano, la sua nuova ragazza, la quale era apparsa, a detta di molti, subito particolarmente nervosa. Nessuno dei presenti ha testimoniato a favore della tesi sostenuta in seguito dalla ragazza, quella per cui Luca l’abbia importunata dentro al locale. Inoltre, le motivazioni, così come la sentenza, parlano di un branco di quaranta persone attorno allo Scapin durante il diverbio avvenuto fra lui e Luca. Anche qui, le guardie di sicurezza del Setai raccontano di un piccolo capannello di curiosi che stava a osservare i due mentre si strattonavano. Sono volate parole pesanti, ma nemmeno l’ombra di una rissa. Eppure le motivazioni fanno emergere come elemento decisivo il presunto terrore dello Scapin alla vista di quello che viene definito ancora un branco».
E Matteo, suo figlio, che ruolo ha avuto in quel frangente?
«Matteo ha partecipato al diverbio ma non ha toccato nessuno, non ha preso parte a nessuna colluttazione. Ha sicuramente rotto il lunotto della Mini, questo sì, ma anche in questo caso le motivazioni sulla corsa in auto dello Scapin non riportano il vero. I testimoni che viaggiavano sulla Volkswagen che seguiva l’auto dello Scapin dicono, ed è agli atti, che la Mini era partita a gran velocità al seguito dello scooter di Luca e Matteo. Ma lo Scapin testimonia di essersi fermato al semaforo perché era rosso e di aver girato a destra: quel semaforo è su due corsie ed è rosso solo per chi va dritto verso Azzano o a sinistra verso Zanica. Ma se giri a destra è sempre e solo lampeggiante, mai rosso».
Torniamo alla ragazza, emerge qualcosa di nuovo nelle motivazioni?
«Emerge che nei tre interrogatori non è risultata attendibile: prima dice di non aver visto nulla, poi che era ripiegata in avanti a cercare qualcosa e infine che sì, ricorda qualcosa, come appunto il fatto che erano fermi al rosso del semaforo. Eppure il giudice ha preso come oro colato le sue parole». (...)