Francesco-Rebora-Giussani

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Cominciamo con la Cristoforetti, che ha detto che lassù era più bello ancora di come se l’era immaginato. I suoi compagni, poco dopo il suo arrivo, hanno spento tutte le luci della roulotte spaziale per consentirle di vedere le stelle nel loro splendore più vivido contro il nero dell’universo. E così, ha poi aggiunto, le è stato regalato anche un raro e preziosissimo riflesso arancione sulla Soyuz che l’ha ulteriormente rallegrata. Quello dei compagni di Samantha è un gesto che rincuora e di cui non possiamo non esser grati a quei ragazzi che continuano a girare come trottole a 400 km d’altezza mangiando cibo in sacchetti per mesi e mesi. Ma sanno ancora sorprendersi delle stelle.

Al contrario di un fiorista al quale domandai se non si sentisse fortunato di stare tutto il giorno in mezzo a creature così belle com’erano quelle che mi avevano spinto a entrare nel suo negozio. Mi rispose come un muflone borbottando che dopo tanti anni di fiorista ormai non ci faceva più caso. E io uscii senza comperargli nulla. Perché le piante di uno che non si stupisce devono avere per forza qualche malattia. Minimo minimo saranno facili alla cocciniglia.

Dunque stamani stavo sentendo il papa a Bruxelles. Al Parlamento - nel primo discorso - aveva richiamato l’affresco di Raffaello “La scuola di Atene” per dire come l’uomo fosse rappresentato nella sua completezza dall’unità dei gesti delle due figure centrali: Platone che indica il cielo (il mondo delle idee) e Aristotele il cui braccio si stende verso l’ambiente circostante: la realtà terrena, data nella sua immediatezza. Il papa ha questa immagine in casa sua, in Vaticano. Noi di quassù possiamo vederne il progetto alla Biblioteca Ambrosiana. L’uomo si pone al centro delle due coordinate, la verticale e l’orizzontale.

Poi, obbediente a tutte le procedure, papa Francesco è andato al Consiglio d’Europa. Altro discorso. Bellissimo. A un certo punto dice: “In questa sede sento perciò il dovere di richiamare l'importanza dell'apporto e della responsabilità europei allo sviluppo culturale dell’umanità”. Non c’è male, come impegno. Ad ogni modo, se posso collaborare, son qui, mi sono detto. In attesa di chiamata, come al centro analisi.

Ma lui ha proseguito: “Lo vorrei fare partendo da un'immagine che traggo da un poeta italiano del Novecento”. E non ho fatto in tempo a chiedermi “e chissaramai sto poeta” che il papa dice: “Clemente Rebora".

Sussulto. Clemente Rebora. Era un prete, d’accordo, ma chi mai gli avrà parlato di Clemente Rebora a questo che stava in Argentina, mi stavo domandando. Ma, come da copione, non ho finito di farmi le solite domande inutili che il papa ha proseguito: “che in una delle sue poesie descrive un pioppo, con i suoi rami protesi al cielo e mossi dal vento, il suo tronco solido e fermo e le profonde radici che s'inabissano nella terra. In un certo senso possiamo pensare all'Europa alla luce di questa immagine”.

Altro che le stelle di Cristoforetti, mi son detto. Altro che i fiori della medinilla magnifica. Qui c’era di mezzo don Giussani e un certo paragrafo 6 di un capitolo del “Senso Religioso” che mi accompagna da una vita e starei quasi per dire da due. E che si trova richiamato anche in altri testi che il papa deve certamente aver letto. Il pioppo. e il tronco s’inabissa ove è più vero. Il papa la conosce tutta, quella poesia, e conosce anche la lettura - le letture - che ne dà Giussani. Sa anche la storia dell’albero che può anche sembrare fronzuto ma se non ha radici dentro è vuoto e dunque muore.

E - sì - qualche passaggio del discorso l’ho perso (ma tanto poi ci sarà su internet). Ma continuavo a vedermi in mente Rebora, là nel suo letto di malato, che guardava l’albero fuori dalla finestra. Poi vedevo don Giussani che incontrava don Rebora nel suo testo e lo regalava ai suoi. E poi c’era il papa che avendo incontrato Rebora nel testo di don Giussani faceva fiorire le fronde di quell’albero per la felicità dell’Europa. E mia, chiaro. Anzi: più mia che degli altri. Mia nel senso di me, cioè di uno che non si capisce proprio perché gli sia stato dato tanto.

Di poter vedere, intendo, come sia vero che anche i momenti più solinghi - come essere malato in un letto - possano collaborare alla grandezza del mondo. Come anche il puro fatto di leggere possa costruire il mondo, collaborare alla sua felicità. Certamente il papa ha riconosciuto la grandezza di tanti movimenti contemporanei. Ma un regalo così (un tributo così segreto e silenzioso, al punto di trascorrere inosservato, a don Giussani), secondo me, non l’ha fatto a nessuno. Grazie, papa Francesco.

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