Il compagno di corsa: fenomenologia di un personaggio dai mille volti
Correre insieme a qualcuno è bello: non si si guarda (o si guarda meno) il cronometro e si gusta insieme lo spazio aperto
di Marco Oldrati
Beh, forse mille no, ma un po’ di “tipi” ci sono, proviamo a conoscerli. Partiamo da quello ideale, che va al tuo ritmo, alla tua stessa velocità. Bello vero? Ma ce ne sono due che vanno al tuo ritmo, quello che ne ha come te, è allenato come te e che è in sintonia con il tuo ritmo di respiri e falcate e quello che con aria fraterna si regola sul tuo passo, ti affianca e non sta davanti, non ti fa sentire in colpa perché lo rallenti, ma se ascolti il suo respiro capisci che quello che sta faticando sei tu.
Tutti e due sono buoni compagni, il primo ti fa sentire più a tuo agio del secondo, ma il secondo ti è utile, perché se capisce che stai esagerando rallenta e con la sua esperienza o semplicemente con il suo maggiore allenamento evita che tu arrivi a casa spompato. E poi il primo se appena appena è più in forma ti pianta lì alla prima salita oppure ti propone lo scatto con aria di sfida e la cosa poi diventa una specie di duello all’ultimo sangue.
Poi c’è il compagno pigro, quello che dice “sì, vengo, ma andiamo piano” e non si impegna gran ché, anzi, se fa caldo ha sete, se fa freddo non se la sente, se c’è nuvolo non vuole rischiare la pioggia, fatto sta che al primo parco si ferma a fare stretching e ti guarda con l’aria seria e il viso impegnato a dimostrare tutta la sua scientifica sapienza su tendini, muscoli e cartilagini.
Il chiacchierone è il soggetto con il maggior numero di sottospecie, almeno tre. La prima è quella del chiacchierone spompato, il primo chilometro spara c…te immani che nemmeno Alex Drastico, il secondo chilometro diventa più ungarettiano, frasi sintetiche e lapidarie, dal terzo in poi entra in fase no comment come un allenatore che ha perso in casa tre a zero. La seconda sottospecie è quella dell’amico che non vedi da un po’, che vuole raccontarti tutto quel che è successo dall’ultima corsa insieme: se la corsa dura più di mezz’ora ti domandi chi te l’ha fatto fare di uscire con il fratello minore di Klaus Davi e Giuseppe Cruciani. Il terzo è quello sconfortante, perché normalmente è più forte di te è ti parla con regolarità da rosario mentre tu senti l’acido lattico salire nelle gambe come il caffè in una moka, ma lui nemmeno una piega, continua serafico e ti irrita perché alla fontanella tu lo guardi piegato in due con le mani appoggiate alle ginocchia e lui ti illustra il panorama.
Poi c’è la compagna e anche qui la fauna è variegata, perché vai dalla tipa carina che hai conosciuto a un aperitivo e che corre perché è trendy e allora occhio a presentarti con l’outfit sbagliato, se le scarpe non sono ton sur ton con la maglietta stai tranquillo che la prossima volta ti dà buca oppure ti tocca farti una cultura sugli abbinamenti cromatici di moda.
Poi c’è la runner del tuo livello, quella che corre più o meno come te, ma qui la cosa non è come con l’amico, la competizione è acida e frizzante come un Barbera dell’Oltrepo, se sei sulle Mura devi fare bene i conti, perché dopo San Giacomo c’è la rampa sotto il Seminario e se non fai attenzione te la ritrovi con le mani sui fianchi alla fontanella che ti guarda beffarda.
La peggiore è sicuramente quella che si sta allenando per una gara, forte sia in piano sia in salita, magari meno audace di te in discesa, ma è la versione femminile di Gimondi, metodica e concentrata. Un consiglio per la sopravvivenza? Dille di aspettarti in cima, la figuraccia la fai subito, ma non soffri. Ricordati, siamo nella terra della Dea, Atalanta corre e le bergamasche la imitano con una classe non da poco.
Poi ci sono altri due compagni che sono tutto un programma, forse i più difficili da gestire: il primo è il neofita, quello che non ha mai corso e che comincia con l’aria dubbiosa di un marito appena tornato dall’Ikea con un manuale di istruzioni dello spessore della Divina Commedia; dopo un paio di chilometri accusa sicuramente dolori ad anfratti del corpo di cui non aveva mai sentito parlare, come la zona fra rotula, tibia e femore, oppure si è messo i calzini senza stirarli bene e a metà percorso sanguina che nemmeno Padre Pio. Quando torna a casa mediamente ti ha insultato in vari idiomi, alcuni gutturali come il norreno o il dialetto gaì.
Il secondo è quello che «ho smesso di correre da un po’» e che ci riprova. Bene, delle due l’una: o vi tedia con le sue imprese del passato per l’intero percorso oppure vi tira il collo per dimostrare che - nonostante mesi o anni di inattività - ne ha più di voi che uscite tre volte alla settimana.
Ma nonostante tutta questa brutta gente, correre insieme a qualcuno è bello, se non altro perché non si guarda il cronometro o quantomeno lo si guarda meno spesso! E si gusta insieme lo spazio aperto.