Vaccini anti-Covid, perché le Università dovrebbero valere più della scuola?
Regione Lombardia ha concesso agli Atenei lombardi una “precedenza” poco comprensibile sulle somministrazioni. I sindacati: «È uno schiaffo». Su Repubblica scontro tra Tito Boeri e il rettore bergamasco Remo Morzenti Pellegrini
di Andrea Rossetti
«È uno schiaffo a tutto il personale scolastico più esposto»: così Elena Bernardini, segretario della Flc-Cgil Bergamo, ha commentato la notizia, data da Regione il 2 marzo, dell’imminente avvio della campagna vaccinale anti-Covid per il personale universitario (docente e non) lombardo. Per Bergamo le prime dosi a questa categoria sono già state somministrate dalla Asst Bergamo Ovest. Solo da lunedì, invece, si passerà al personale scolastico.
Tradotto: le Università sono “passate davanti” alle scuole dopo essere state inserite tra le priorità grazie all’accordo siglato dall’assessore regionale al Welfare Letizia Moratti e la Conferenza dei Rettori della Lombardia, presieduta dal rettore dell’Ateneo di Bergamo, Remo Morzenti Pellegrini.
Covid e scuole: è allarme rosso
Di per sé, questo non sarebbe un problema. Tutti (o quasi) speriamo di vaccinarci, prima o dopo. Il fatto è che, in un momento in cui purtroppo c’è ancora penuria di vaccini, fare delle scelte su chi vaccinare è necessario. E dato che è da ormai un anno che si va avanti a dire che le scuole meriterebbero più rispetto, che chiuderle rappresenta un danno enorme per i nostri bambini e i nostri ragazzi, ci si sarebbe aspettati che una buona parte delle poche dosi attualmente a disposizione venissero realmente destinate al personale scolastico.
Anche perché i dati parlano chiaro: stando all’ultimo report di Ats Bergamo (relativo alla settimana 21-28 febbraio), il numero di contagi nelle scuole della nostra provincia è praticamente triplicato, con ben 119 classi in isolamento e il rapporto tra tamponi effettuati e positivi quasi al dieci per cento, una delle percentuali più alte rilevate dal novembre scorso. In un contesto di forte ripresa generale del contagio, le scuole rappresentano quindi una criticità elevata con cui dover fare i conti. Per questo il governatore Attilio Fontana ha deciso di chiuderle istituendo la zona arancione rafforzata. Per riaprirle, attualmente l’unica strada praticabile è quella di vaccinare il più possibile chi lì ci lavora, in primis i docenti.
Perché prima la Università?
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La questione non è rimasta confinata all’alveo dello scontro tra politica e sindacati. In settimana, su la Repubblica, anche Tito Boeri, ex presidente dell’Inps, economista e docente alla Bocconi di Milano, e Roberto Perotti, anch’egli economista e docente alla Bocconi, sono intervenuti al riguardo.
Con parole molto dure nei confronti del mondo universitario. «Non c’è alcuna superiorità morale di un ateneo su una scuola - hanno scritto i due accademici -. [...] La realtà è che la Conferenza dei Rettori lombarda ha esercitato una pressione fortissima. [...] Non c’era davvero nessun motivo di dare uno schiaffo alla dignità (e alla sicurezza) dei docenti delle scuole lombarde».
Il giorno successivo alla pubblicazione di questo intervento, Remo Morzenti Pellegrini, in quanto presidente della Conferenza dei Rettori lombarda, ha scritto a la Repubblica una replica nella quale, pur rimarcando la sua volontà di «non alimentare polemiche», afferma di essersi limitato a «sollecitare l’avvio della campagna vaccinale anche nei 14 atenei lombardi. [...] Non riesco a capire in cosa consista il privilegio che verrebbe accordato ai docenti e al personale tecnico-amministrativo delle Università».