Un anno terribile (anche) per gli spettacoli: incassi calati dell'80 per cento
Il Covid-19 ha messo in ginocchio il comparto. L’assessore Nadia Ghisalberti: serve un intervento pubblico di sostegno ai lavoratori
Un bollettino di guerra. Usa questa definizione Gaetano Blandini, direttore generale di Siae, per commentare i dati del l’Osservatorio spettacolo 2020 raccolti dalla società che protegge i diritti di autori ed editori in Italia. Non si è trattato di un vero anno, in sostanza, perché tra i due lunghi periodi di lockdown «le giornate sono diminuite del 67%». Sette spettacoli su dieci non ci sono stati, la spesa al botteghino (622 milioni di euro) è scesa del 77,58% e quella totale del pubblico (886,4 milioni) ha avuto una riduzione dell’82,24%.
Certo, tra giugno-ottobre c’è stata una bella ripresa. Ciò, nonostante il numero di locali che hanno organizzato eventi è stato di 46mila, contro i 94mila dell’anno precedente. E l’autunno è arrivato in anticipo: se a settembre il numero di eventi ha continuato a crescere, il pubblico ha iniziato ad allontanarsi di nuovo. L’altro periodo positivo, che lascia del rammarico, è gennaio-febbraio, quando l’emergenza sanitaria non era ancora scattata: Il numero di eventi era cresciuto rispetto all’anno precedente del 3,38% e impazzava al cinema “Tolo tolo” di Checco Zalone. Non è bastato, ovviamente.
La Bergamasca si muove su questa linea, se non peggio: gli incassi sono precipitati di oltre l’80% (addirittura il 93,25% in città), con punte che sfiorano il 100% per le fiere, le sagre e le feste di paese. Il settore ha perso complessivamente oltre 93,5 milioni di euro (meno 82,43%) in provincia, passando da una spesa complessiva di 113,5 milioni nel 2019 a meno di 20 milioni nel 2020, con un calo di quasi 58mila eventi (sugli 81.919 del 2019) e quasi 4 milioni di presenze. La riapertura di cinema e teatro del 27 marzo appare poca cosa: con accessi limitati a un quarto, e con la zona gialla che non si vede all’orizzonte, non cambierà le carte in tavola. Una ripartenza massiccia si potrà vedere forse in autunno ma non prima.
Scorrendo i dati, pagano dazio tutte le voci di cultura e spettacolo, a partire dal cinema, che nelle sale di Bergamo e provincia ha perso il 68,56% delle proiezioni. Dai 1.746 spettacoli teatrali del 2019 si è passati in un anno a 488 (meno 72,05%), con gli ingressi in frenata del 74,86% (da 312.877 a 78.664) e una spesa complessiva che ha superato persino la soglia psicologica dell’80% (meno 80,56%). La chiusura dei musei ha di fatto azzerato ingressi e incassi anche di mostre ed esposizioni, sia in città che in provincia: il numero degli eventi è crollato da 1.119 a 126 (meno 88,74%), con una spesa complessiva praticamente nulla nel 2020, rispetto all’anno precedente (meno 97,2%). La parziale riapertura delle attività durante l’estate ha arginato, almeno nei valori assoluti, la caduta del settore delle fiere (quello, per intenderci di giostre e bancarelle), che ha provato ad approfittare dei pochi mesi di sollievo concessi dalla pandemia proprio durante la bella stagione.
«In una situazione così drammatica – commenta l’assessore alla Cultura del Comune di Bergamo, Nadia Ghisalberti – per non rischiare di trovarci senza sale cinematografiche in città o con i teatri non in grado di sostenere stagioni e festival, è necessario un intervento pubblico di sostegno ai lavoratori». La richiesta formale degli enti locali al Parlamento è partita la scorsa settimana, quando gli assessori dei capoluoghi regionali, a nome di tutti i colleghi dei comuni capoluogo, sono stati ascoltati in audizione al Senato. «La crisi epocale determinata dall’emergenza sanitaria e dalle conseguenti misure per contrastarla sta facendo pagare un prezzo altissimo al settore dello spettacolo, di cui fanno parte quei creatori di felicità per la nostra collettività che sono i compositori e gli artisti della musica, del cinema, del teatro e della letteratura nonché i lavoratori che ne supportano l’attività - dichiara il presidente Siae Giulio Rapetti Mogol -: la diffusione della cultura è essenziale non solo per l’economia italiana ma per la stessa qualità della vita e per questo rappresenta qualcosa di più di uno dei tanti settori da salvare».