Lo studio del Mario Negri che spiega come ridurre il rischio di finire in ospedale per Covid
Una terapia eseguita da casa seguendo le indicazioni del medico nelle primissime fasi della malattia. Alla guida della ricerca i professori Suter e Remuzzi
di Elena Conti
Una terapia efficace, eseguita da casa seguendo le indicazioni del medico di base nelle primissime fasi della malattia, ancora prima di sapere l’esito del tampone, riduce il rischio di finire in ospedale per l’aggravarsi delle condizioni. Questo è quanto hanno capito il professor Fredy Suter, primario emerito del Papa Giovanni XXIII di Bergamo, e il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri.
Insieme a medici di famiglia e ricercatori, tra cui Norberto Perico del Mario Negri, hanno firmato lo studio clinico “A simple, home-therapy algorithm to prevent hospitalisation for Covid-19 patients: a retrospective observational matched-cohort study”, che tradotto sta per “Un semplice algoritmo per il trattamento domiciliare di pazienti Covid-19 per prevenire l’ospedalizzazione”, pubblicato sulla rivista EClinicalMedicine della testata inglese The Lancet.
Il risultato di questo studio è la dimostrata efficacia di un intervento tempestivo nel trattamento della malattia a partire dalle prime manifestazioni di essa, ad esempio dall’avvento di tosse, mal di gola, febbre e stanchezza. All’insorgere di questi primi sintomi, curare il Covid-19 come una qualsiasi altra infezione respiratoria con l’utilizzo dei Fans (Farmaci antinfiammatori non steroidei), accelera il recupero e riduce il rischio di ospedalizzazione.
L’indagine è stata condotta su un gruppo di 90 pazienti affetti da Covid-19, che sono stati curati da casa dai loro medici di base che hanno seguito le indicazioni terapeutiche riportate nello studio. A confronto con un altro gruppo simile, ma che ha seguito terapie diverse, si nota una diminuzione da 13 a 2 pazienti per i quali è stato necessario il ricovero in ospedale, con una riduzione maggiore del 90% del numero dei giorni di ricovero. Non ci sono stati risultati apprezzabili, invece, in merito alla durata della malattia: questo genere di trattamento non riduce il tempo medio di risoluzione dei sintomi principali, bensì la loro intensità e molteplicità.
In questi giorni, un altro studio pubblicato su The Lancet condotto da un gruppo di ricercatori inglesi e australiani ha dato risultati simili a quello del Mario Negri: in questo caso la terapia proposta è la somministrazione per inalazione, nelle prime fasi della malattia, di budesonide, un farmaco che contiene piccole quantità di cortisone utilizzato solitamente nei casi di asma. In questo caso il numero di pazienti ricoverati in ospedale scende da 11 a 2, con riduzione anche delle forme gravi della malattia e del tempo di risoluzione dei sintomi.
«Ci auguriamo – spiega Remuzzi – che questo approccio possa prevenire in un certo numero di casi l’evoluzione verso le forme più gravi della malattia e la necessità di ricorrere all’ospedale». «È molto importante – sottolinea Suter – che i suggerimenti che derivano da questi studi non siano interpretati come un “fai da te”. È il medico di famiglia che deve prendere queste decisioni, giudicando di volta in volta quale sia il farmaco più adatto in rapporto ai sintomi e alle condizioni cliniche del suo paziente».