Le restrizioni della censura

I bizzarri divieti in Cina (barbe e ombrelli sono illegali)

I bizzarri divieti in Cina (barbe e ombrelli sono illegali)
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La censura cinese non scherza. Le sue restrizioni sono di una tristezza spaventosa. Ricordano certe misure sovietiche, con l’aggravante di essere fuori contesto, storico e geografico. Sono stati messi al bando, ad esempio, gli edifici «stravaganti», l’arte «senza caratteristiche socialiste» e anche l’inno nazionale, che non può essere cantato ai matrimoni e ai funerali, in abiti casual oppure da sdraiati. Per essere sicuri di dare giusto lustro alla patria, l’inno deve essere modulato da persone ben vestite e che si trovino in posizione eretta.

Per difendere il decoro nazionale, i censori di Pechino si sono scagliati anche contro le barbe degli uiguri, una popolazione turcofona e a maggioranza musulmana dello Xinjiang, regione autonoma nell’Ovest della Cina. I visi barbuti, così come i veli o i fazzoletti sul capo delle donne, mancano di rispetto al vero spirito del Paese. Pertanto, non possono circolare sugli autobus o su altri mezzi pubblici e i veri patrioti sono incoraggiati a rivolgere loro una ramanzina, ogni volta che ne vedono uno – pare però che gli uiguri siano di vedute ampie e hanno preso con ironia il divieto imposto dai bacchettoni al governo. Una loro barzelletta, infatti, dice: «Come mai Babbo Natale non viene nello Xinjiang? Perché la sua barba è fuori legge!». Inoltre, al popolo dello Xinjiang è stato vietato il ramadan. I lavoratori pubblici e gli studenti non possono più celebrarlo.

 

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Insieme ai musulmani, anche i cristiani non se la passano poi molto bene, in Cina. In diverse scuole, è stato proibito celebrare il Natale, pericolosissima festa occidentale che corromperebbe l’indomito spirito cinese. Peccato che il presidente Xi Jinping abbia avuto la poca accortezza di farsi fotografare vicino a un Babbo Natale finlandese, nel 2010. Comunque, la foto è stata fatta sparire prontamente dal Web: un segno concreto di come il controllo esercitato dalla censura funzioni benissimo. A Wenzhou, una città nel Sud-Est della Cina sono poi state proibite le croci «troppo grosse» sui tetti delle chiese.

Dalla vita religiosa alla vita privata dei cittadini, l’azione dei censori è guidata dalla medesima parola d’ordine: controllo indefesso sulla “moralità” e proibizione delle diavolerie culturali dell’Occidente. La televisione cinese propone perciò una infinite serie di film sulla guerra contro il Giappone, che alla lunga sono sempre gli stessi. Sono illegali i film con zombie, prostitute, suicidi, o coppie adultere ed è stata bandita anche la sitcom Usa «Big Bang Theory». Già in precedenza erano stati vietati i lungometraggi fantascientifici e quelli pieni di «superstizioni feudali». Hanno vita grama anche ombrelli, diventati il simbolo della protesta di Hong Kong: i viaggiatori che si recano a Pechino devono dichiarare di non averli con sé.

 

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Ma è Internet l’ambito in cui i divieti fioccano come in Italia le tasse nel mese di novembre. Questa settimana la Cina ha vietato le email che arrivano tramite il servizio di Google Gmail (Google è uno dei siti bloccati, come Twitter e Facebook) e quelle provenienti dall’Università di Hong Kong, essendosi macchiata della colpa di avere partecipato alle manifestazioni di OccupyHongKong. A novembre una direttiva inviata ai media ha messo al bando i giochi di parole, dichiarando che il cinese deve essere utilizzato in modo «regolare e accurato», senza uso eccessivo di nuove parole. Niente ironia, signori. Infine, la censura vorrebbe regolare anche il mercato delle app per i telefoni cellulari. «C' è stato un diluvio di applicazioni, anche molti venditori illegali hanno le loro», ha dichiarato Zhu Wei, professore di legge presso la China University of Political Science and Law. E insiste: «Alcune di queste applicazioni diffondono informazioni private che riguardano i consumatori, anche minorenni, e violano i loro diritti legali, ci vuole uno sforzo legislativo per regolare la applicazioni».

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