In morte di un bel giornale

«Questo è l’ultimo numero di pagina99. Starà in edicola un po’ più a lungo del solito. Non per sempre però»: è un messaggio semplice quello con cui si apre l’articolo di Emanuele Bevilacqua su pagina99.it e sull’edizione cartacea in edicola il 3 gennaio. L’ultima edizione, perché questa nuova avventura editoriale, nata l’11 febbraio 2014, a neppure un anno di vita ha alzato bandiera bianca. Nell’ultimo numero del 2014, il 19 dicembre, sempre Bevilacqua scriveva: «Siamo all’89esimo della nostra partita di calcio e siamo sotto. Non resta che qualche secondo da giocare e poi sperare nel recupero. La maggior parte delle volte è impossibile rimontare, ma qualche volta ce la si fa».
Purtroppo pagina99 non ce l’ha fatta. Ed è un purtroppo sincero, perché pagina99 era veramente un bel giornale. Nato come quotidiano, dopo poco tempo, con realismo, diventò un settimanale: in edicola solo il sabato, appuntamento fisso per tante persone che, nei mesi, hanno imparato a riconoscere la qualità della scrittura di chi ci lavorava e a godere della trasversalità degli argomenti trattati, mai pruriginosi, mai rimestati, mai da chiacchiericcio di strada. Inchieste, approfondimenti, reportage, cultura: pagina99 era il nuovo contenitore cartaceo di un giornalismo che fu e che purtroppo i quotidiani italiani hanno, articolo dopo articolo, un po' perso.
Me lo fece conoscere mio padre, stanco dei soliti giornali e incuriosito da questa nuova testata, che nella delicatezza del rosa salmone delle sue pagine nascondeva, sotto il titolo, l’urlo di vita di Jack Kerouac e di tutti quelli come lui, affamati di esperienze e di risposte. Perché il nome di questo giornale è ispirato a una frase del padre della beat generation, che si trova a pagina 99 del romanzo Sulla strada: «E fu allora che cominciò la mia avventura».
[manifesto fotografico di pagina99]
Un’avventura coraggiosa. A gennaio, un anno fa, attraverso un blog di “anticipazioni” della testata, venivano riportate quelle che sarebbero state le linee guida di questa nuova avventura editoriale: un laboratorio di giornalismo con la volontà di innovare linguaggi, modi e pratiche, destinato a chi vuole cambiare le cose a partire dall’informazione. Un’ambizione decisamente alta, soprattutto se riflessa non solo sul web, ma in un settore come quello del cartaceo oramai in perenne crisi. A credere nel progetto, in primis, Emanuele Bevilacqua, direttore ed editore allo stesso tempo. Sessantenne salernitano, Bevilacqua ha alle spalle una grande esperienza maturata nel Gruppo Espresso, alla Giunti, a Micromega. È stato amministratore delegato del Manifesto e poi, soprattutto, del settimanale Internazionale, un progetto di successo, che continua ad offrire uno sguardo sul mondo dal mondo. L’occhio sull’attualità di Internazionale, in effetti, era rinvenibile anche in pagina99 e forse qui stava la sua forza: trattare i temi con occhi diverso da quello a cui noi italiani eravamo abituati, prediligendo l’approfondimento alla cronaca. Insieme a Bevilacqua, all’inizio dell’avventura, Roberta Carlini e Jacopo Barigazzi. Il tutto senza un euro di finanziamento pubblico.
È giusto dirlo, perché è proprio sui soldi, come sempre in questi casi, che casca l’asino: a pagina99, per continuare a vivere, mancava un milione e mezzo di euro. L’ha detto chiaramente Bevilacqua nel suo articolo del 19 dicembre: «Non stiamo parlando di debiti accumulati da coprire con nuova finanza. Il nuovo finanziamento è necessario per sviluppare il nostro giornale e permettergli di raggiungere un equilibrio economico e finanziario. I soci che ci hanno sostenuto con generosità fino a oggi hanno deciso di non rilanciare da soli e noi non abbiamo, né abbiamo mai puntato ad avere, quei contributi che fanno stare in piedi mezza editoria, di qualità e non». Purtroppo quei soldi non sono stati trovati.
[foto di tanti lettori con pagina99]
Un progetto che piaceva. Al di là dei giudizi personali della redazione di Bergamo Post, che da pagina99 ha tratto settimanalmente ispirazione, spunti, idee, temi di discussione e semplice piacere nella lettura, i dati parlavano di un progetto che piaceva: le copie si erano stabilizzate da mesi, con un numero decisamente buono di abbonati per un giornale con neanche un anno di vita, un gruppo qualificato d’inserzionisti pubblicitari e un sito che ha registrato un aumento del 20% di utenti unici nell'ultimo trimestre. Il problema è che tutto ciò non è bastato. L’Italia è un Paese strano: da anni la carta sta dimostrando che, da sola, non ce la può fare e mentre il web trionfa, in pochi, concretamente, lo stanno aiutando a diventare adulto. In pochi credono che l’informazione sul web possa essere realmente il carburante per un rilancio del cartaceo. E invece è proprio così, lo dicono i numeri, lo dicono i fatti.
La dignità del silenzio. Arrivato sulle scrivanie di tante redazioni e sui tavolini di tante case con discrezione, pagina99 ha deciso anche di salutare senza grandi strombazzamenti, ma semplicemente spiegando, ringraziando e precisando che «un sogno noi l’avremmo ancora» (parola di Bevilacqua). E questo rende ancora più onore a questo bel giornale, perché tanti altri suoi “parenti”, vicini o lontani, non sono stati in grado di fare lo stesso. Ci hanno tirato matti, a luglio, con la chiusura de L’Unità. Giornale storico, certo, ma che gli ultimi anni (e ultimi è un eufemismo) campava sui contributi pubblici, con vendite a picco e lettori desaparecidos. Stesso destino di Europa, il quotidiano nato nel 2005 e voce ufficiale della sinistra cattolica, guidato da Stefano Menichini e che continuerà a vivere solo nel web dopo che, calcolatrice alla mano, in 10 anni ha incassato dallo Stato più di 32 milioni di euro. Più di 32 milioni di euro per tenere in vita un giornale che leggevano veramente in pochi: nel 2013 gli incassi ammontavano a 1 milione e 397mila euro a fronte di una spesa, solo per il personale, di 1 milione e 549mila euro. Più o meno 1.500 copie vendute al giorno. La polemica nata tra il direttore Menichini, il sito Dagospia (che ha pubblicato la lettera di un lettore che criticava Menichini per lo stipendio da 500 euro al giorno a fronte di numeri di bilancio così disastrosi) e Il Fatto Quotidiano, stonano enormemente con i toni dell’annunciata chiusura di pagina99. E stona anche il fatto che mentre pagina99 chiude, nelle edicole il Corriere della Sera aumenta di prezzo, passando da 1,40 euro a 1,50 euro. Nel 2012 costava 1,20 euro: il 25% in più in due anni.
Stonature che, come un acuto sbagliato all’interno di un coro, infastidiscono e fanno fischiare le orecchie. Ringraziamo pagina99 anche per averci evitato questo fastidio, oltre che per essere stato un piacevole compagno di tempo libero e un’illuminante guida nell’informazione moderna. Bergamo Post, nel suo piccolo, condivideva e condivide tutt’oggi la filosofia con cui pagina99 iniziò la sua avventura e per questo, oggi, siamo un po’ tristi anche noi. Come sempre accade quando un compagno di avventura più grande saluta e se ne va. Un compagno con cui condividevamo lo stesso sogno: offrire un giornalismo diverso.