Il provveditore Patrizia Graziani saluta i bergamaschi: «Tenete la scuola nel vostro cuore»
Lascia un sistema tra i migliori d'Italia dopo averlo guidato per quasi 11 anni. Il rammarico? «Non mi hanno neanche tinteggiato la sede...»
di Ettore Ongis
Prima di uscire dall’ufficio di via Pradello ha voluto ringraziare tutta la scuola bergamasca, quelli che hanno lavorato con lei e che hanno collaborato con il provveditorato, e poi i rettori Paleari e Morzenti Pellegrini, il vescovo Beschi, le scuole paritarie, i sindacati. Patrizia Graziani, dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale, non cita mai persone o istituzioni a caso, e se alcune non le cita, non è un caso. Ma questo è il momento dei saluti, martedì 30 novembre è il suo ultimo giorno di servizio nella scuola e dice: «Non mi par vero di poter terminare dopo 43 anni».
Dottoressa, ha guidato la scuola bergamasca per quasi undici anni: ci alziamo in piedi come dei bravi alunni?
«No, no, e perché mai? Abbiamo lavorato in un clima di collaborazione e di rispetto per organizzare una buona e bella scuola».
Non le saranno mancati in questi giorni i saluti e i ringraziamenti...
«Devo ammettere che sono un po’ frastornata dalle tante attestazioni di stima e di affetto, che non erano né scontate né dovute, e mi hanno fatto un immenso piacere. Mi sono commossa».
Il mondo della scuola è riconoscente.
«Molti messaggi sono arrivati anche da fuori».
Alla fine anche i bergamaschi hanno un cuore...
«Assolutamente sì. Ma questo l’avevo percepito sin dai primi giorni a Bergamo e sempre ho trovato grande cordialità».
Torna alla sua Mantova. C’è la nebbia.
«Oggi (martedì 23 novembre, ndr) c’è una bellissima giornata di sole».
Che programmi ha per il futuro?
«Programmi di riposo attivo. Mi dedicherò ancora alla scuola, metterò a disposizione quel poco che ho imparato».
Che scuola lascia? Piovono riconoscimenti sulla qualità dei nostri istituti, dalla Fondazione Agnelli al Ministero.
«In questi anni ci siamo impegnati moltissimo e la scuola bergamasca ha raggiunto risultati eccellenti, non perché ce lo raccontiamo noi ma perché lo dicono i dati, i rapporti, le indagini, i premi. È una grande soddisfazione. Lascio una scuola che deve davvero essere nel cuore dei bergamaschi».
Gli ultimi due anni sono stati tosti, tra Dad, trasporti e vaccinazioni. A Roma qualcuno si è accorto dei salti mortali che sono stati compiuti qui?
«Sì. Non dimentichiamo che, nel luglio scorso, Bergamo è stata la prima città visitata dal nuovo ministro. Non perché le immagini dei camion militari abbiano colpito tutti, ma perché la nostra scuola ha dato dimostrazione di grande vivacità sia durante la didattica a distanza sia – mi permetta di dirlo – per il lavoro che l’ufficio scolastico ha svolto. Siamo sempre stati i primi a raggiungere gli obiettivi indicati dal ministero nell’assegnazione delle cattedre, nel reclutamento dei supplenti, nelle pensioni. È questo grande lavoro di sistema che è arrivato a viale Trastevere».
Che cosa ha imparato la scuola dal periodo Covid?
«Anzitutto che bisogna essere flessibili e guardare al futuro utilizzando tutti gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Bergamo nel 2012-2013 è stata la prima provincia che ha affrontato la sfida del digitale. Io ho coordinato a livello regionale il progetto di digitalizzazione con i tablet nelle scuole e “Generazione web Lombardia”. Ebbene, l’esperienza maturata in questi anni è stata una zattera che ci ha permesso di affrontare il mare in tempesta e ha fatto sì che anche nei momenti più duri della pandemia si potesse continuare a fare scuola».
La scuola è stata di esempio durante tutto il periodo del Covid e anche sulle vaccinazioni. Conferma che i no vax sospesi dal servizio sono dieci su 18 mila?
«Pochissime persone, sì. Quando è cominciata la campagna, professori e personale non docente si sono vaccinati subito. E poi ricordo che dopo il lunghissimo lockdown, dal 23 febbraio all’estate 2020, la prima riapertura ha coinciso con gli esami di Stato. Avevamo tanta paura: le misure di sicurezza non erano mai state sperimentate, diecimila studenti dovevano fare la maturità, c’erano più di quattrocento commissioni e duecento presidenti… La scuola è stata capace di adattare gli spazi, mettere in atto protocolli, si è svolto tutto in presenza, io non ho sostituito nemmeno un presidente di commissione (a differenza degli altri anni) e non abbiamo avuto il caso di un solo positivo. Anche con il Green Pass, al di là di alcune folcloristiche prese di posizione, la responsabilità non è mai venuta meno, pure da parte degli studenti».