Il presepe più grande del mondo Ma Matera non reciti, per favore

È difficile gestire la propria grandezza. Matera, Capitale europea della Cultura per il 2019, ha giocato per il momento la carta del Presepe vivente.
È entrata nel Guinness dei primati: il suo è il presepe più grande del mondo. Cinque chilometri all'interno dei Sassi, quattrocento figuranti, una stella cometa di 4 metri di diametro. Due scene nuove rispetto all’anno scorso: l’Annunciazione e la Strage degli innocenti. Non uno ma tre giorni - dal 2 al 5 gennaio. Sessanta figuranti del Gruppo Storico Romano impegnati nella ricostruzione di ambienti e tecniche del mondo militare del tempo dei Cesari. Trentamila biglietti a 5 euro l’uno. Alberghi pieni. La città che di notte - e di lontano - sembra davvero un presepe.
Un remake di Ben Hur - il kolossal hollywoodiano tratto dal romanzo di Lew Wallace del 1880 - porterà nuovamente la città alla ribalta del mondo. Non successe con Pasolini. Qualche scossone lo provocò The Passion di Mel Gibson. Il nuovo film farà il botto. Un successo planetario.
Ha detto il sindaco della città, Salvatore Adduce: «Lo scenario naturale della città dei Sassi si presta di per sé come luogo evocativo. E proprio su questo versante è stato ritenuto universalmente molto simile ai luoghi della natività e della passione. Collocare in quei luoghi la natività e il presepe vivente è quasi una propensione naturale». Chi può dargli torto? Il turismo è un business se non altro più redditizio e più ecologico di altri.
Ma diceva Pasolini ai suoi attori (che non erano professionisti, ma amici suoi: Natalia Ginzburg, il poeta Alfonso Gatto, Enzo Siciliano, il filosofo Giorgio Agamben): «Non recitate, per favore», «Non mettete la manina così». Non prendete, cioè, a prestito le movenze da «quelle degli attori». Siate voi stessi, non loro. O peggio, la loro copia.
Certo, Matera, per rievocare la natività originaria, è un set perfetto. Lo è, però, anche perché consente di riprodurre a grandezza naturale l’immagine del presepio che ci siamo fatti negli anni. Le scene coi personaggi impegnati nei diversi mestieri - il fornaio, il ciabattino, le donne che filano - siamo ormai avvezzi a vederle un po’ ovunque. Non solo nelle statuine. E alla lunga stuccano, come il concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker: violini, corno inglese, soffitto, passi di danza, i timpani e il triangolo, i lampadari, e di nuovo quelli che ballano. Da spararsi, dopo un po’.
Il fatto di essere entrata nel Guinness potrebbe fare di questa città - grazie al presepio - quello che la bavarese Oberammergau è diventata grazie alla rappresentazione della Passione: folle di turisti da ogni parte del mondo, tutte le case linde e ripulite da cima a fondo grazie ad alberghi, ristoranti, negozi di souvenir e di libri. I benefici della globalizzazione. Ma non sarà che in questo modo Matera rischia davvero di scomparire sommersa dal diluvio delle immagini stereotipate, lei che era riuscita a salvarsi dal fuoco e dai lapilli della povertà?
Disse una volta il Mahatma Gandhi che intendeva smettere di filarsi da solo il lino della sua veste e andare in giro col suo dhoti (l’abito contadino) candido, anch’esso tessuto con le proprie mani, perché si era accorto che mantenersi in quella povertà era diventato troppo costoso per i suoi amici. Da fatto reale che era in origine, quella povertà si era trasformata in stile. Oggi diremmo: in brand, in logo vivente. Si era atrofizzata. Matera è troppo bella per dover mutuare da altri il proprio stile.
Non si tratta, ovviamente, di trasformarsi nel museo di se stessa, ma di pensare più in profondità che per il passato i termini della propria identità. In senso dinamico, non rigido. Aperto, non fissato su di sé al passato remoto. Augusto imperatore disse di aver lasciato di marmo la città che aveva preso in mano quando era di legno. I Materani sapranno certamente fare altrettanto se non si limiteranno a voler fare solamente più in grande ciò che già altri fanno per abitudine. La loro città ci attrae oggi per la sua bellezza, domani - ci auguriamo - per lo stupore che saprà suscitare in chi va in cerca di unicità.
Non esiste soltanto la biodiversità. Anche le culture e la bellezza si salvano se mantengono, ciascuna, il proprio genio.