Kino, dal Maite di Città Alta all’osteria di San Gemini fondata dal fratello
Stefano Ferri ora vive in Umbria e gestisce La Pecora Nera aperta da Felice, scomparso a fine 2020. «Ma tranquilli che a Bergamo ci si vedrà spesso»
Di Fabio Cuminetti
A Bergamo tutti, o quasi, conoscono Stefano “Kino” Ferri. Frontman degli Arpioni e fondatore del Maite di Città Alta, in vicolo Sant'Agata (di fronte al Circolino), ha dato un contributo di primo piano alla vitalità del borgo antico, negli ultimi anni. Dal punto di vista musicale, culturale e “ricreativo” a tutto tondo, certo (con tanto di gestione degli spazi dell'ex carcere di Sant'Agata), ma non solo. Lo scorso anno, durante la pandemia, ha creato con 300 cittadini “SuperBergamo”, una rete di consegne per chi non poteva uscire: bombole di ossigeno, cibo, medicine e speranza. Un progetto che ha conquistato anche Diego “Zoro” Bianchi di PropagandaLive (La7), che a SuperBergamo ha dedicato spazio nel suo servizio sulla tragedia pandemica bergamasca.
Ora Kino si è trasferito in Umbria per gestire l’Osteria La Pecora Nera di San Gemini (Terni), aperta nel 2007 dal fratello Felice, morto il 18 dicembre 2020 a causa proprio del Covid. L’abbiamo contattato per farci raccontare come e perché ha fatto questo passo.
Partiamo dall’inizio.
«L’osteria è nata nel 2007 tra molte vicissitudini; in questi anni mi è capitato diverse volte di dare una mano a mio fratello, quando potevo, specialmente all'inizio, quando Felice aveva più bisogno, specialmente in occasione della Giostra dell'Arme, una rievocazione storica, molto sentita e partecipata che si tiene a fine estate. Avendo frequentato la scuola alberghiera e con una discreta esperienza lavorativa nei ristoranti a Bergamo, sentivo naturale dare una mano, grazie a un minimo di competenza. Ovviamente si trattava di “incursioni” per lo più affettive e ritagliate tra i miei impegni: l’impegno con gli Arpioni e il lavoro come collaboratore scolastico al Liceo Sarpi».
Poi la pandemia vi ha nuovamente separati.
«A Bergamo mi sono concentrato con l'organizzazione che il Maite ha messo in piedi in tempi record per fare quanto possibile in quei giorni, fino a che i tragici eventi hanno coinvolto e sconvolto anche la mia famiglia. Abbiamo vissuto la morte di Felice in maniera traumatica e dolorosa. Nonostante ognuno avesse preso la propria strada, il nostro era un legame profondo e i progetti di ognuno in famiglia erano condivisi e seguiti con empatia e partecipazione. Questo era per Felice quando seguiva gli Arpioni in tour appassionandosi alla mia "passione", e lo stesso è stato ed è tutt'ora da parte mia e di mia sorella nei confronti della sua “creatura”: l’osteria, specialmente adesso, è per noi una sua estensione, una “figlia” sua della quale sentiamo di doverci prendere cura. Per questo, nonostante alcune difficoltà da superare, da subito non abbiamo avuto dubbi e così, con mia sorella e nostra madre, abbiamo unito le forze per provare a portare avanti questo progetto. Ed eccomi qua a “tenere acceso il fuoco” e a fare il "pendolare" da Bergamo a Sangemini. In fondo i chilometri non mi hanno mai spaventato, anzi. Ho dovuto chiaramente chiudere con la scuola e la cosa mi è dispiaciuta, anche perché ho lasciato un ambiente splendido dove sono cresciuto con delle colleghe e colleghi straordinari, ma non potevo tenere i piedi in troppe scarpe».
La Pecora Nera è stata aperta da Felice nel 2007: come è nata l’idea del locale e perché proprio San Gemini?
«Felice ha conosciuto la sua compagna, Raffaella, molti anni prima e han vissuto a Bergamo per anni. A un certo punto hanno lasciato i loro lavori sicuri e hanno deciso di cambiare vita. Lei, nativa di San Gemini, aveva sotto casa un locale sfitto e tra le sue passioni c'era quella di cucinare. Ed è così che hanno unito i loro sogni, le loro passioni e hanno deciso di dargli forma all'interno di quel piccolo locale fatto di mattoncini preziosi, pieni di storie e di atmosfere da raccontare tra un calice di vino e un piatto preparato con passione. L'hanno ripulito e sistemato da zero, mattone dopo mattone, fino a svelarne quella magia percettibile ad ogni avventore. Chiaramente Felice, oltre al suo estro e la sua umanità, si è portato appresso anche la sua atalantinità, e tra amici vecchi e nuovi da quel giorno San Gemini è diventato un avamposto conviviale e tappa strategica e facile da raggiungere, essendo a pochi chilometri dall'uscita autostradale di Orte».
Nel menù c’è anche un tocco bergamasco.
«Casoncelli, foiade, taleggio, formagelle, salami e altri prodotti come vini e birra bergamaschi girano nel menù già dal 2007. La commistione Bergamo e Umbria è sempre stata presente. Felice ci teneva molto. Non mancano ricette e prodotti marchigiani in quanto, come tutti i nostri amici già sanno, nostra madre è nativa di Potenza Picena in provincia di Macerata. È sempre stata una prerogativa dell’Osteria Pecora Nera quella di fare una cucina autentica senza guardare rigidamente al kilometro zero, ma alla qualità e l'autenticità delle materie prime. La qualità non ha confini. Le diversità stanno bene insieme e ci arricchiscono. È cosi che i clienti umbri vengono a gustarsi i nostri casoncelli e magari nel tavolo accanto dei turisti del nord si godono i picchiarelli (tipica pasta del luogo) o delle tagliatelle al tartufo. Io, seguendo questa tradizione, ho inserito ultimamente la polenta taragna e altri vini dalle nostre parti. Chi viene apprezza e conosce anche cose nuove».
Per Città Alta hai fatto tanto: il Maite prosegue anche senza di te? E i progetti nel borgo?
«Le cose fatte restano e i semi scaturiscono frutti. Io sono fondatore del Maite ma per fortuna man mano i compagni di avventura non son mancati, fino all’avvicendamento con Pietro Bailo alla presidenza. Per fortuna la tecnologia in questo caso aiuta, e partecipo puntualmente alle attività a distanza. Gestisco ancora direttamente alcuni progetti a cui tengo: la rassegna di stand up comedy, l’organizzazione di eventi come il 25 aprile e primo maggio all’aperto… E cerco di soddisfare le varie richieste, se posso. Ora poi sono diventato ufficialmente un bel gancio interno per i prodotti enogastronomici del centro Italia, che poco non è. Naturalmente il non esserci quotidianamente sarebbe stato un limite se non ci fosse stato un virtuoso ricambio generazionale. Le ragazze e i ragazzi che abitano gli spazi di via Sant’Agata sono anche più bravi di chi li ha preceduti e stanno facendo un ottimo lavoro. Il progetto dell’ex carcere (Exsa) che attiene il Maite continua a essere una fucina di idee e energie e le collaborazioni sono importanti sia con enti e associazioni che con i partner istituzionali. È stato un duro lavoro e un lungo cammino, ancora in essere, ma le soddisfazioni alla fine saltano fuori, nonostante tutto».
Come si sta in Umbria?
«In Umbria si vive bene. Già me la sto passeggiando in lungo e in largo e scoprendo le tante differenze che pure ci sono. Ho iniziato a camminare sui monti di qui, a scherzare tra dialetti diversi, a familiarizzare con chi mi ha accolto, e ad accogliere a mia volta. Sono dell’idea che il vivere bene sia prima di tutto una condizione da trovare o costruire con le proprie scelte. Cercare di fare quello che ci fa stare bene, attorniarsi di persone positive e di cui si ha stima e ci si vuole bene. Con una base di questo tipo si possono fare le scelte più adatte a se stessi in qualsiasi luogo ci fa capitare la vita. Con queste basi si può addirittura essere d’aiuto agli altri e magari, senza pretenderlo, a volte ci torna pure indietro quando è il nostro turno di crisi».
Ti manca casa?
«Certo che mi manca. Le mie girate per il borgo con i miei amici di tutte le età, dagli studenti che impiccano in Rocca ai miei anziani amici a cui ancora chiedo, tra un bianchino e uno stornello, un sacco di cose della vecchia Bergamo. Mi son sempre nutrito di storie e di racconti. Tutti hanno delle cose interessanti da raccontare, a volte basta sapergliele tirar fuori. La mia natura conviviale e bisbocciara mi fa cercare nelle persone che incontro quella conoscenza che non si trova sui libri. In questo senso il bidello, il cantante, ora l’oste, sono mestieri perfetti. Comunque lenisco la mancanza con frequenti viaggi avanti e indietro, anche perché ho quasi tutti gli affetti ancora lì e tutto l’insieme mi tiene bello attivo».
E infine: sai già cosa farai nel prossimo futuro?
«Difficile rispondere. Da tempo ormai il futuro lo vivo con determinato fatalismo. Per dire che amo darmi degli obiettivi praticabili che possano produrre, una volta raggiunti, dei nuovi scenari. Ma più praticamente nel futuro prossimo tengo la posizione qui nell’osteria alternandomi con l’attività degli Arpioni e le mie girate nelle Marche al paese di mia madre al mare. Ma tranquilli che a Bergamo ci si vedrà spesso».