Sentenza d'Appello: la chiesetta agli ex Riuniti torna in mano a Regione Lombardia
In primo grado era stata data ragione all'Associazione Musulmani di Bergamo, ma i giudici di secondo grado hanno ritenuto quella decisione scorretta
La chiesetta agli ex Riuniti di Bergamo torna a essere proprietà di Regione. È infatti arrivata la sentenza della Corte d'Appello di Brescia, la quale in diciotto pagine ha, in sostanza, reso inefficace la decisione di primo grado del Tribunale di Bergamo, secondo cui il Pirellone aveva fatto valere il proprio diritto di prelazione fuori dai tempi stabiliti dalla legge e aveva addirittura messo in atto una condotta discriminatoria.
L'antefatto di questa battaglia è ormai cosa nota: il 25 ottobre 2018, l'Associazione Musulmani di Bergamo si era aggiudicata all'asta dell'Asst Papa Giovanni XXIII la proprietà della chiesetta agli ex Riuniti. Un'aggiudicazione che aveva sollevato moltissime polemiche: l'obiettivo della comunità islamica cittadina, infatti, era aggirare la legge regionale cosiddetta "anti-moschee" che vietava la costruzione di nuovi luoghi di culto in Lombardia. Da qui la decisione dell'Associazione di acquisire un immobile che fosse già adibito al culto religioso. Solo successivamente si è scoperto che c'era un cavillo che vincolava la chiesetta al culto cristiano e dunque non sarebbe mai stato possibile "trasformarla" in una moschea.
Nonostante questo elemento (tutt'altro che secondario) non fosse stato inserito nella perizia dell'asta, l'Associazione Musulmani non si è tirata indietro e dopo l'apertura delle buste ha deciso di confermare l'acquisto dell'immobile. Ed è a questo punto che Regione Lombardia ha deciso di reagire, spinta anche da una parte dell'opinione pubblica che riteneva ingiusto che un bene parte della cultura cattolica cittadina (tesi opinabile, ma tant'è) finisse in mani islamiche, facendo valere il proprio diritto di prelazione. In altre parole, lo stesso ente che aveva messo in vendita l'immobile (perché l'Asst è un'espressione locale di Regione) ha deciso di riacquistare il bene, e questo solo perché il compratore non le andava a genio: un paradosso.
La sentenza di primo grado del giudice Laura Brambilla, come detto, diede ragione all'Associazione Musulmani. Non solo sottolineando come Regione non avesse rispettato i tempi per fare valere la prelazione (troppo tardi), ma anche rimarcando la discriminatorietà dell'atteggiamento di Regione nei confronti della comunità islamica. Ora, però, il verdetto è stato ribaltato. O meglio: la Corte d'Appello è come se avesse "annullato" il gol dell'Associazione Musulmani. Il motivo è squisitamente di rito e nulla c'entra con il merito della questione: in sostanza, secondo i giudici d'Appello, il giudice di primo grado è andato oltre alle proprie competenze revocando l'atto di prelazione di Regione, che tutt'al più si sarebbe potuto disapplicare.
I giudici di Brescia non sono entrati nel merito e non hanno, di fatto, dato torto all'Associazione Musulmani, tant'è che alla fine delle 18 pagine di sentenza sottolineano come «la particolarità della vicenda processuale de qua e la non imputabilità alla parte ricorrente della erroneità della decisione del Tribunale costituiscono giusto motivo per compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio». Allo stesso tempo, però, l'Appello ha riportato la situazione nel quadro in cui si trovava prima della sentenza di primo grado, ovvero con Regione che aveva fatto valere la prelazione ed era tornata dunque in possesso della chiesetta.
Andrea Di Lascio, avvocato dell'Associazione Musulmani, ha sottolineato come «si tratta di un caso molto particolare e complesso, che meriterebbe sicuramente una valutazione della Cassazione», soprattutto perché strettamente rituale e non nel merito. Ogni valutazione su un eventuale ricorso al terzo grado di giudizio, però, è rimandata di qualche giorno: «Credo sia bene analizzare in modo approfondito il dispositivo della Corte d'Appello e valutare cosa sia meglio fare partendo da quella che sarà la volontà dell'Associazione».