Riconoscimento

La bella storia di Bertha Bayon, la prima immigrata "straordinaria" di Bergamo

Boliviana, sposata con un bergamasco e madre di quattro figli, è stata premiata insieme ad altre dieci signore impegnate sul territorio

La bella storia di Bertha Bayon, la prima immigrata "straordinaria" di Bergamo
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di Wainer Preda

«Hanno voluto premiare i 38 anni di lavoro che ho fatto a favore dei bambini, delle donne e del sociale». A parlare Bertha Bayon. Classe 1950, originaria della Bolivia, ha passato gran parte della sua vita facendo l’assistente sociale, prima negli orfanotrofi, poi a fianco delle donne vittime di ingiustizie e soprusi, anche in Bergamasca. Per questo l’assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Bergamo l’ha premiata fra le “11 donne straordinarie”, il progetto realizzato dalle associazione La Mimosa, Soroptimist International Club Bergamo, Donne per Bergamo - Bergamo per le donne e Movimento Donne Impresa di Confartigianato.

L’iniziativa punta a valorizzare le donne attive nell’associazionismo sociale e culturale e tramandare alle giovani generazioni la loro esperienza. Insieme a Bertha, sono state premiate Oliana Maccarini, Luisa Carminati, Rosangela Pesenti, Lucia De Ponti, Anna Falanga, Daniela Gennaro Guadalupi, Ida Rocca, Laura Meucci, Mariachiara Boninsegna e Pia Locatelli.

Signora Bayon ci racconta la sua storia?

«La mia storia comincia quando ho conosciuto l’amore della mia vita, in Bolivia. È Andrea Venati. Un ragazzo bergamasco che stava facendo il servizio civile internazionale in un orfanotrofio del mio Paese. Ci siamo incontrati nel 1982. Lui è rimasto sei anni in Bolivia sempre nel volontariato. Io facevo l’assistente sociale. Ci siamo innamorati e due anni dopo ci siamo trasferiti in Italia».

Non deve essere stato semplice, immagino, lasciare tutto. All’inizio come è stato?

«Qui in Italia durante i primi anni ho affrontato una serie di burocrazie piuttosto impegnative, come la convalida dei titoli di studio e lavoro che avevo in Bolivia. È l’iter che ogni persona straniera deve fare. Poi io e mio marito abbiamo accettato di fare i direttori laici dell’oratorio di Terno d’Isola. Quella è stata la prima esperienza lavorativa in Italia».

Come si è trovata?

«Benissimo. Era una delle prime esperienze di questo tipo in Bergamasca. Essere in mezzo ai ragazzi, ai bambini, con un progetto educativo e l’esperienza professionale che avevo già acquisito in Bolivia mi ha aiutato tantissimo a socializzare e conoscere la cultura bergamasca».

Lei ha un approccio positivo. Ma immagino ci siano stati anche momenti duri.

«Il primo impatto da superare è quello linguistico. L’altro è la rottura con il legame affettivo parentale. Con la tua terra, la tua famiglia, la rete parentale. La mia scelta per fortuna è stata delle più belle, seguendo l’amore, ma non sempre accade così».

Le manca molto il suo Paese?

«All’inizio sì. Ora sono passati molti anni, anche se a volte la nostalgia della propria terra torna. Qui in Italia ho approfondito l’argomento attraverso corsi di sociologia. Ebbene, la teoria dice che più passano gli anni, più la terra d’origine viene “mitizzata”. Diventa la più bella, nessuno può toccarla. Mi rendo conto che sia una questione più emotiva che razionale. Perché razionalmente io sono molto felice qua. Ho realizzato la mia vita sentimentale e professionale. Ho quattro figli e un marito stupendo. Venerdì 25 marzo, a proposito, si è laureata mia figlia».

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