I 100 anni della lampada al neon
C’era una volta.
C’era una volta un signore che si chiamava Georges di nome e Claude di cognome. Affascinato da un’invenzione che affascinerebbe chiunque, se potesse incontrarla, decise di approfondirne la natura e gli usi e per questo si iscrisse alla Scuola di Chimica e Fisica di Parigi e si laureò.
L’invenzione era il Tubo di Gessler (dal nome del tedesco Heinrich Gessler che lo mise a punto), consistente in un tubo di vetro di forma qualsiasi all’interno del quale è contenuto un gas rarefatto e le cui pareti sono coperte di materiale fluorescente. Se in questo tubo si fa passare della corrente le pareti si colorano diversamente a seconda del gas che contiene: rosso nel caso si tratti di idrogeno, verdastro se c’è dell’acido carbonico, giallo rosso se c’è azoto.
Il Signor Gessler aveva pensato di usare il suo tubo per misurare alcune proprietà dei gas. Il signor Claude, invece, lo usava per cercare di non deprimersi dato lo scarto esistente fra i brillanti risultati raggiunti negli studi e il grigiore del suo impiego al Comune di Parigi. Si procurò pertanto dei gas inerti (neon, argon, krypton) così da ridurre considerevolmente i rischi di esplosioni nel suo laboratorio, e continuò a giocare cercando di capire cosa ne potesse venir fuori.
Un bel giorno decise di far passare una scarica elettrica in un tubo sigillato contenente del neon e il risultato fu così bello - perché esattamente questo lo colpì: che fosse proprio bello - che l’ingegner Claude volle vedere cosa sarebbe successo se, invece del neon, ci avesse messo o altri gas o una miscela di altri gas. Una meraviglia successe: a gas diversi corrispondevano colori diversi del tubo.
L’ingegnere imparò ben presto a dosare le miscele e a ottenere i colori che voleva e, contento come una Pasqua, decise di presentare la sua invenzione a una fiera nel 1910. Se aveva pensato di far colpo con questa “magia” ci riuscì magnificamente.
La cosa sarebbe però rimasta lì se un socio e collaboratore di Claude, Jacques Fonseque, non avesse compiuto un passo teorico decisivo: se questa lampada la voglion vedere tutti - pensò -, il suo destino è in pubblicità. Così nel 1912 ne vendette e installò un esemplare fuori di un negozio di barbiere in Boulevard Montmartre, che glielo aveva chiesto. Era la prima insegna luminosa commerciale al mondo. Tre anni dopo - 19 gennaio 1915 - Georges Claude brevettò la sua invenzione e così in questi giorni celebriamo il centenario della lampada al neon che, come si sarà compreso, non è esattamente al neon.
Il suo nome vero sarebbe lampada fluorescente, perché il neon emette una luce molto debole, di color arancione, e viene usato dunque prevalentemente per segnalare qualcosa. Ad esempio, nei cacciavite cercafase, la lucetta che si accende quando si trova il filo che porta corrente è una lucetta al neon.
Stavamo dicendo, però, che Jacques Fonseque non si limitò a vendere la lampada-insegna. Dovette anche installarla perché le lampade fluorescenti non si possono attaccare direttamente alla corrente. Appartengono infatti al gruppo delle lampade cosiddette “a scarica”, che esigono di essere alimentate in limitazione di corrente e necessitano di un reattore o starter che generi una scarica controllata che provoca “l’accensione” del gas. La tensione di innesco necessaria a tutto ciò è di 60-80 volt, dunque molto meno rispetto ai 220 delle nostre abitazioni sia in corrente continua (batteria, pile) sia in corrente alternata (quella delle prese comuni). Se l’alimentazione proviene da una batteria, la luminosità si produce solo sull’elettrodo negativo. Se proviene dalla corrente di casa si produce una volta di qua e una volta di là, ma dato che lo scambio avviene in un tempo ridottissimo si ha l’impressione che la luce sia ferma (quando “balla” vuol dire che uno dei due elettrodi si è scassato).
Dato che ci siamo, diciamo anche che queste caratteristiche permettono di capire di che tipo sia la corrente che fornisce energia alla lampada e, nel caso sia continua, quale è il polo + e quello —.
Per finire questa prima parte ci corre l’obbligo di ricordare che a generare il colore della lampada non è propriamente il gas attraversato dalla corrente, ma la reazione generata da quel gas nel materiale fluorescente posto sulle pareti del tubo. Per questo si dice che l’emissione luminosa di queste lampade è indiretta.
Ciò detto non abbiamo ancora finito perché la caratteristica fondamentale di questa lampada, a parte l’uso industriale, è di essere un giocattolo dalle infinite possibilità, sul quale si sono buttati a capofitto artisti di ogni genere.
A chi abita nella nostra zona consigliamo una visita a Villa Panza di Biumo - a Varese - per vedere l’opera di Dan Flavin. Chiedendo al personale di accendervi la galleria sarete assaliti da improvvisa meraviglia. Dan Flavin è uno dei maggiori artisti della fluorescenza, e Villa Panza è uno dei luoghi più famosi al mondo in cui ammirare le sue opere. Dal giugno al novembre del 2012, inoltre, il Macro di Roma presentò la mostra «NEON. La materia luminosa dell’arte». C’erano tutti: oltre a Flavin, ci piace nominare Joseph Kosuth e Bruce Naumann, i cui lavori si possono facilmente trovare in rete digitando su un motore di ricerca “artista” e “neon” e successivamente “Immagini”. Mancava invece Tim Etchells, per cui ve lo segnaliamo.