La crisi di identità della Lega in Bergamasca: molti militanti sfiduciati e le sezioni chiudono
La struttura sta andando in difficoltà: nessun congresso, tesserati che non crescono, divisione in quattro correnti. Aspettando Pontida
di Wainer Preda
L’arretramento nei sondaggi è l’ultimo dei problemi. In realtà la Lega a trazione salviniana, a livello nazionale e locale, ha ben altri guai. Lo sanno bene i militanti. Lo sanno, a maggior ragione, i vertici. Nonostante la tendenza a mostrarsi granitico, è innegabile che il partito stia attraversando un momento difficile della sua storia. Che paradossalmente segue quello della maggiore espansione. Una variazione repentina, fin troppo. Che ha portato la Lega di Salvini dal 4 al 40 per cento in pochi anni. E dal 40 al 16 in altrettanti.
Il Carroccio vive una complicata fase di transizione. Di passaggio. Con la certezza di quello che era e i mille dubbi su quello che sarà. Non è tanto una questione di leadership (sebbene a Salvini vengano imputati errori marchiani come quello di aver fatto saltare il governo gialloverde ed essersi fatto “infinocchiare” da Renzi) quanto piuttosto di politica e struttura. Le ondivaghe posizioni dal partito di “lotta e di governo” hanno confuso l’elettorato. E minato alla base la chiarezza identitaria che ha sempre contraddistinto la Lega. Il leghista tipo non sottilizzava più di tanto, non era avvezzo ai sofismi del palazzo. Sapeva chi era e cosa voleva. Punto.
Ora, non più. Persino i militanti e i fedelissimi faticano a dire cosa sia la Lega di Salvini oggi. E quale sarà la sua linea politica di qui a venire, già solo domani. E lo stesso vale per l’elettorato, completamente disorientato. Non è un caso che la Meloni e FdI - leader e partito con posizioni chiare e poco avvezze ai compromessi -, abbiano fatto presa sui ceti popolari e stiano erodendo consensi. Soprattutto al Sud.
L’operazione di ampliamento della Lega verso il Meridione, è sotto gli occhi di tutti, non ha portato i frutti sperati. Il progetto della Lega nazionale, dopo gli iniziali entusiasmi, si è scontrato con realtà territoriali che funzionano con logiche molto diverse, atipiche, rispetto a quelle da cui la Lega proviene. Chiedere ai vari commissari, per conferma: dalla Toscana in giù, Alberto da Giussano non tocca palla. E c’è già chi si aspetta un forte ridimensionamento, anche in termini elettorali, al prossimo passaggio nazionale. Per questo, anche fra esponenti importanti, si sta facendo strada l’ipotesi di un ritorno alla Lega originale, partito regionale costruito essenzialmente al Nord Italia. E non è, badate bene, una questione nostalgica. Bensì l’esigenza di serrare i ranghi anche a livello locale, dove le sofferenze politiche stanno aumentando.
La struttura territoriale, un tempo forte e radicata quasi quanto quella del vecchio Partito Comunista, sta venendo meno. Il patrimonio elettorale e di presenza nella società, costruito da Umberto Bossi e dagli uomini di quel tempo, per mille motivi è finito dilapidato. La Lega, dopo la riorganizzazione, ha i vertici nominati e non eletti da alcun congresso. Ci sono stati congressi sezionali, che hanno più il sapore del “contentino” ai militanti. Ma per il resto, dai provinciali in su, nulla si muove. Mentre aumentano le chiusure delle sedi locali e la fatica ad aumentare il tesseramento. Persino in Bergamasca, da sempre uno dei feudi del Carroccio. Unica eccezione il ritorno del grande raduno di Pontida, luogo simbolo della storia della Lega, programmato per settembre.