Ucraina, tira una bruttissima aria

Dopo Donetsk il nuovo punto caldo della crisi ucraina è la città di Debaltseve, nodo ferroviario strategico che collega le due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Debaltseve è una città di 25mila abitanti, dove la gente sta scappando a causa degli spari incessanti e della mancanza di luce e acqua. Molti hanno trovato rifugio in strutture per le vacanze, anche a pochi chilometri di distanza, temporaneamente trasformate in rifugi per chi ha abbandonato la propria casa. I morti aumentano ogni giorno a ritmo di decine e decine, e vanno ad aggiungersi ai dati ufficiali dell’Onu che parlano di oltre 5mila vittime 900mila sfollati dallo scorso aprile.
Tra quanti combattono a fianco di Kiev è morto anche Isa Munaiev, che negli anni ’90 era un importante comandante della guerriglia cecena: nel 1999 guidò la difesa di Grozni. Oggi era a capo di un battaglione che porta il nome del primo presidente separatista ceceno, Dzhokhar Dudaiev, ed è formato prevalentemente da ceceni, azeri e tatari. Al suo posto è andato Adam Osmaiev, liberato in aula a Odessa lo scorso novembre dopo due anni e nove mesi dietro le sbarre con l'accusa di aver provato a organizzare assieme a due complici un attentato dinamitardo per uccidere il leader del Cremlino Vladimir Putin. Il tribunale ucraino ha lasciato cadere l'accusa di terrorismo, e ha condannato Osmaiev solo per manipolazione illegale di esplosivi, per essere entrato in Ucraina con dei documenti falsi e per distruzione di proprietà di terzi.
Fallimento dei negoziati e appello alla tregua. Lo scorso sabato le parti in conflitto, esercito di Kiev e ribelli filorussi, si erano incontrate a Minsk per una nuova tornata di colloqui che mettesse fine alla riesplosione della guerra. Ma a nulla sono valsi i tentativi di riappacificare l’ormai martoriata regione del Donbass, nel sud est ucraino, sempre più lontano da Kiev. All’indomani del fallimento dei colloqui sono riprese le violenze e immediato è partito l’appello congiunto della cancelliera Angela Merkel, del presidente francese Francois Hollande e del presidente ucraino Petro Poroshenko per un cessate il fuoco immediato. Anche il presidente russo Vladimir Putin, stando a quanto riferito all’agenzia Tass dal portavoce del Cremlino, ha chiesto «a tutte le parti coinvolte nel conflitto di mettere fine urgentemente alle azioni militari e a qualsiasi altra manifestazione di violenza».
Gli Stati Uniti pronti a inviare armi pesanti a sostegno di Kiev. Il conflitto, quindi, sembra non essere più una questione isolata, che riguarda il governo ucraino e quello russo, tanto che gli Stati Uniti, secondo quanto riporta il New York Times, starebbero valutando l’invio di armi, tra cui missili anticarro, droni e altre armi difensive, a supporto di Kiev, per un valore di tre miliardi di dollari. Una decisione non ancora ufficiale, ma che potrebbe essere l’argomento al centro della visita del Segretario di Stato John Kerry di giovedì a Kiev. La scelta dell’invio di armi pesanti, che si discosta quindi da quella di non fornire assistenza bellica, sarebbe sostenuta in particolare dal capo delle Forze Nato in Europa Philip Breedlove, ma andrebbe a mettere in discussione l’asse tra Germania e Stati Uniti in merito alla guerra del Donbass. La Germania infatti, continua a mantenere fede alla sua posizione di non intervento perché convinta non esista una soluzione militare al conflitto. Nel corso della visita a uno dei pochi “amici” di Putin in Europa, il premier ungherese Viktor Orban, la cancelliera Angela Merkel ha espresso perplessità sull’eventualità dell’invio delle armi e ha auspicato, invece, una grande unità in Europa perché si arrivi a negoziare una cessazione delle ostilità.
La reazione di Mosca. Non sono in pochi a vedere nell’invio di armi americane in Ucraina un tentativo di fare la guerra a Putin da parte dell’Occidente. La Russia starebbe già inviando il proprio sostegno ai separatisti con armi pesanti, carri armati, lanciarazzi e militari altamente addestrati. La Nato stima che ci siamo almeno mille persone, tra militari di professione e uomini dell'intelligence, inviate dalla Russia in Ucraina per sostenere l'offensiva nelle regioni dell'Est. Inoltre, il leader dei separatisti e capo della Repubblica Popolare di Donetsk, Alexandre Zakhartchenko, ha annunciato che entro dieci giorni inizierà la mobilitazione generale e il reclutamento di 100mila uomini pronti a combattere e ha dichiarato di non essere disponibile a nuovi colloqui nel formato di Minsk fino a che «l'Ucraina non nominerà un rappresentante ufficiale».
Mosca, risponde alle indiscrezioni mediante il suo ministro degli Esteri, Serghieij Lavrov, a Pechino per i colloqui ministeriali tra Russia, India e Cina: «Ci sono prove che gli Stati Uniti sono coinvolti direttamente sin dall’inizio nel colpo di Stato antigovernativo contro Yanukovich dello scorso anno. Noto che dagli Stati Uniti giungono notizie in base alle quali Washington avrebbe intenzione di fare di tutto per continuare a supportare incondizionatamente le autorità ucraine». E nei confronti del Consiglio d’Europa, che ha prorogato il diritto di voto alla Russia per la crisi ucraina, fa di più: interromperà per un anno tutti i contatti ufficiali con l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE). A comunicarlo è stato il presidente della commissione Esteri della Duma e capo della delegazione russa alla PACE Alexey Pushkov, precisando che verranno mantenuti i rapporti con i singoli deputati dei parlamenti nazionali contrari alla revoca del voto ai parlamentari russi ma che le missioni speciali del Consiglio d'Europa non potranno recarsi in Russia.
Le opinioni nel parlamento ucraino. All’interno del parlamento ucraino non c’è una visione coesa del problema e gli approcci sono agli antipodi. Le divisioni tra filorussi e filoeuropei dominano la scena e così l’ex primo ministro e ora parlamentare Yulia Tymoshenko afferma che bisogna «intervenire militarmente. Ci vogliono delle forze di interposizione al confine tra Ucraina e Russia. Questa è un’opzione che dovrebbe essere considerata dall’Onu. Dobbiamo anche imporre le massime sanzioni possibili. Dobbiamo fare di tutto, compreso interpellare il Tribunale internazionale». Di parere opposto sono gli esponenti dell’opposizione vicini all’ex presidente Yanukovich, che frenano sull’interventismo proposto dagli ambienti governativi. «Solo negoziando potremo arrivare a un cessate il fuoco ed evacuare i nostri concittadini» afferma l’ex vicepremier Yurij Boyko. «Sfortunatamente il meeting di Minsk non è stato un successo, ma ciò significa che dobbiamo incrementare i nostri sforzi per risolvere il conflitto pacificamente».