Agli arresti per oltre 50 anni È morto il vescovo martire in Cina

Non si sa con certezza né quando né come è morto. Ma almeno quella del decesso di Cosma Shi Enxiang è una notizia, la prima offerta alla famiglia dopo anni e anni di silenzio sulle sorti di questo vescovo cinese, arrestato l’ultima volta nel 2001. «Siamo stati informati dai funzionari del governo che però non hanno rivelato con esattezza il momento e la causa della sua morte», è quanto detto da un pro-nipote del religioso all’agenzia di stampa Misna. «Ora attendiamo il prelato, sia che ci restituiscano il feretro o delle ceneri, per riportarlo a Shizhuang, la nostra città di origine, e lì decidere che fare».
94 anni, Cosma Shi Enxiang è stato ordinato sacerdote nel 1947, appena 26enne. La sua vita religiosa si è spesa nella fedeltà alla Chiesa e al Papa, e nella scelta di non abbracciare mai l’associazione patriottica, che vuole edificare una chiesa fedele a Pechino e non a Roma. Per questo ha speso numerosi anni in carcere, ancor prima dell’arresto del 2001: la prima volta rimase detenuto dal ’57 al ’80, costretto a svolgere lavori forzati agricoli nell’Heilongjiang, o nelle miniere di carbone dello Shanxi. Dall’80 in poi ha subito altri arresti, scontati però in via domiciliare, fino alla lunga detenzione cominciata 14 anni fa. «I miei genitori e gli altri vescovi sono molto tristi», è stato il commento del pro-nipote. «Per anni hanno tentato di sapere dove fosse tenuto, e ora la risposta alla loro domanda è che è morto».
«Abbiamo un altro martire nella nostra Chiesa», è stata la reazione di tanti cinesi su Weibo, il social network più diffuso nel Paese. Qui si fa sempre più stringente la necessità di un dialogo tra il Governo cinese e la comunità cattolica, che cresce a ritmi spaventosi: pure The Economist, qualche settimana fa, aveva messo in luce quanto diventasse sempre più interessante il messaggio cristiano dalle parti di Pechino. In un Paese che fa dell’ateismo uno dei suoi cardini, i cristiani sarebbero ormai 100 milioni: a questo ritmo la Cina, tra 15 anni, potrebbe diventare la nazione più cristiana al mondo. Ma il Governo fatica ad accettare questo cambiamento: nel corso del 2014 sono state abbattute numerose chiese e croci, ufficialmente perché non in regola con la normativa urbanistica.
E in più resta da risolvere la questione della Chiesa Sotterranea di cui monsignor Shi è stato uno degli ultimi vescovi in detenzione: in carcere, ad oggi, resta ancora Giacomo Su Zhimin, 80enne detenuto dal 1997 senza che nessuno ne conoscesse i capi d’accusa né il luogo di detenzione. Nel 2003, per caso, si scoprì che monsignor Su era in un ospedale a Pechino in cura, affiancato da un poliziotto che lo controllava a vista: il tempo che i parenti lo salutassero in fretta e furia e il religioso sparì un’altra volta, senza che, ad oggi, si sia saputo qualcosa in più sul suo processo o sulla sua detenzione.
Lo scorso marzo, invece, moriva a 97 anni Joseph Fan Zhongliang, vescovo ordinario di Shanghai: pure lui aveva trascorso 50 anni da detenuto. La sua esperienza in carcere era cominciata ai tempi di Mao ed era durata 30 anni, per poi concedergliene altri 20 ai domiciliari. Eppure c’erano 5mila fedeli a piangere il vescovo il giorno dei suoi funerali, cifra altissima se si pensa alla situazione della Chiesa in Cina. Nei giorni precedenti il rito, la casa funebre fu un continuo susseguirsi di messe e gente in visita, mentre per la funzione non bastarono gli oltre 4mila libretti stampati per servire i fedeli. Fu inoltre disposto un maxischermo all’esterno della casa funebre, per permettere a tutti di seguire la messa.