Omicidio di via Novelli, le parole dell'imputato Alessandro Patelli: «Ho reagito d'istinto»
Il 19enne ha fornito la sua versione dei fatti. Secondo il giovane, la colluttazione sarebbe stata iniziata dalla vittima, Marwen Tayari
In aula oggi (venerdì 28 settembre) l’imputato Alessandro Patelli, accusato dell’omicidio del 34enne tunisino Marwen Tayari, ha fornito la sua versione rispetto a quanto accadde l’8 agosto 2021 in via Novelli.
Le parole di Patelli
Il suo resoconto è riportato da L’Eco di Bergamo: «Non voglio giustificarmi per quello che ho fatto, non volevo fare del male a nessuno. Mi sono spaventato e ho reagito d’istinto per difendermi. Ho fatto un danno, ho rovinato due famiglie e non me lo perdonerò mai». Il 19enne ha scelto di non sottoporsi al test del pm, bensì di rendere dichiarazioni spontanee: «Non mi sento sicuro di rispondere alle domande del pubblico ministero, perché quando mi interrogò io gli dissi tutto ma mi sembrò che a lui non interessasse».
«Scesi a prendere il motorino perché dovevo recarmi a Trescore nel nostro castagneto - ha poi continuato Patelli, che non è riuscito a trattenere le lacrime -, ma mi accorsi di aver dimenticato il casco. Parcheggiai il motorino un attimo vicino all’ingresso con l’intenzione di tornare su. Avevo visto delle persone sedute sui gradini di casa ma non avevo fatto caso. Vidi quel signore venirmi incontro. Non capii subito quello che mi disse perché avevo le cuffiette. “Perché cammini veloce?”, mi diceva e io non capivo il senso della domanda». Secondo quanto ricostruito, Tayari era infastidito in quanto il ragazzo, rientrando nel condominio, aveva urtato per sbaglio una delle figlie, che era seduta sui gradini del portone d’ingresso.
«Ho avuto paura»
Patelli ha affermato che, quando è tornato di sotto dopo aver recuperato il casco nell’appartamento, gli è venuto di nuovo incontro con una bottiglia in mano. «Pensai che mi volesse rompere la bottiglia in testa. Ebbi paura. Misi una mano in tasca per abbassare il volume della musica nelle cuffiette e sentii di avere il coltellino». A quel punto, l’imputato lo avrebbe estratto per dissuadere il nordafricano dai suoi intenti violenti: «Stai lontano, ho un coltello», gli avrebbe detto. «Rispose che non aveva paura del mio coltello, sollevò la maglietta per mostrarmi le sue cicatrici e io ebbi ancora più paura». Tayari avrebbe intimato a Patelli di togliere il casco, ma lui non lo avrebbe fatto per paura che lo colpisse in testa con la bottiglia.
«Lui appoggiò la bottiglia ed ebbi un sospiro di sollievo, pensai fosse finita, invece si girò di colpo e mi buttò per terra. Pensai di stare per morire e non volevo, così reagii senza riflettere e preso dal panico iniziai a dare coltellate». Il 34enne sarebbe riuscito a prendere poi la lama e rivolgerla contro il ragazzo, ma lui liberandosi lo avrebbe colpito un’altra volta. «Lui si rialzò, raccolse la bottiglia e mi venne incontro, poi all’altezza delle scale si accasciò, sentii la bottiglia rompersi. Io ero immobile e non sapevo cosa fare, non avevo capito la gravità della situazione».
Prossima udienza il 4 novembre
Il resto è noto: il padre Giambattista Patelli arrivò sul luogo della tragedia poco dopo che il tunisino si era accasciato a terra. Alessandro andò verso la sua macchina, dove si trovava il cane, e appoggiò sul sedile casco e zainetto. In caserma, in seguito, avrebbe avuto un attacco di panico con conseguente ricovero in ospedale, poi la somministrazione di gocce per calmarlo, la cella dei carabinieri e la prigione. Nel corso dell’udienza sono intervenuti anche vari testimoni, tra i quali il fratello, amici e vecchi datori di lavoro del giovane, che hanno tutti sottolineato il suo carattere timido e pacifico. La conclusione delle parti è prevista per il 4 novembre prossimo.