Gli ultimi giorni di Van Gogh raccontati da Goldin: «Non era pazzo e neppure povero»
Mercoledì 23 novembre lo studioso porta al Creberg il suo spettacolo dedicato al pittore. «Sulla sua figura sono state costruite una lunga serie di leggende»
Di Fabio Cuminetti
Sono 25 anni che studia il pittore olandese, a cui ha dedicato incontri, spettacoli, libri, sei mostre visitate da oltre due milioni di persone, un podcast in cinque puntate. Marco Goldin ha fatto di Van Gogh la sua cifra distintiva, divulgando e intrattenendo con appeal inimitabile.
Ora, a oltre tre anni dalla fortunata tournée teatrale del 2018-19 con “La grande storia dell’impressionismo”, mercoledì 23 novembre sarà al Creberg di Bergamo con “Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato”, di cui cura anche la regia. La rappresentazione prende le mosse dal romanzo omonimo, scritto sempre da Goldin: un diario immaginario, ma sempre del tutto verosimile, che accompagna il pittore dal momento in cui lascia la Provenza fino a quando decide di spararsi.
«Dal 2017 mi sto impegnando nella demitizzazione di Van Gogh – spiega lo studioso – perché, come è normale che sia per la vera rockstar del mondo della pittura, si porta dietro una serie di falsità e leggende legate alla sua figura. Non è vero che era povero, perché il fratello gli passava una media di 200 franchi al mese, cioè il doppio di un impiegato dell’amministrazione pubblica francese. E non è vero che era pazzo, ma semplicemente malinconico».
Goldin vuol sottolineare bene che non si tratta di un saggio: le parole fatte dire a Van Gogh non sono realmente sue ma frutto di una ricostruzione romanzesca. «Il mio lavoro è sull’anima del pittore – precisa –. Mi interessano il suo meccanismo interiore, le sue parole, i suoi colori, i luoghi che ha frequentato».
L’atmosfera che si effonde dal palco è intima, durante la narrazione. La scenografia punta su un effetto di meraviglia davanti alle immagini dei quadri, i loro particolari e fotografie d’epoca e a contributi filmici girati nei luoghi di Van Gogh. Un grande schermo di sette metri, panoramico, con proiezioni al laser in altissima definizione, avvolge sulla scena il narratore.
Poi ci sono le musiche di Battiato, «che di Van Gogh amava la capacità di rapportarsi contemporaneamente con la carne e lo spirito – spiega Goldin -. Il precipitare negli abissi e il risalire ad altezze celesti. Quel suo viaggio sarà espresso nelle musiche che di Battiato ho scelto, per metà tratte dal suo meraviglioso “Gilgamesh”, tra l’altro uscito giusto trent’anni fa».