Abusi all'agenzia per modelle: «subdola modalità seriale» del titolare
Resi noti i dettagli della condanna a 9 anni e mezzo a V.L., 61enne titolare della Publistar con sede a Gorlago, accusato di abusi nei confronti di una 15enne
Condannato a nove anni e sei mesi di reclusione per aver abusato di una ragazzina di quindici anni: sono stati resi noti i dettagli della condanna a V.L., 61enne titolare della agenzia Publistar con sede a Gorlago. Lui, allora 57enne, prometteva alle sue giovani vittime una formazione per aspiranti modelle, prospettando un possibile futuro nella professione tramite pubblicità sui canali online. Lei all'epoca dei fatti quindicenne, fragile, con passati problemi di anoressia e autolesionismo e una mamma psichiatrica.
Quattro gli episodi di abusi. Il primo, nel 2017, ai danni di una ragazza ventenne: in quell'occasione si era fermato a un palpeggiamento, per cui - come riporta Corriere Bergamo - è stata riconosciuta l'attenuante della minore gravità. Gli altri tre, avvenuti nel 2018, riguardano invece la ragazzina quindicenne: il reato è stato riqualificato da violenza sessuale aggravata a atti sessuali con minorenne. L'uomo avrebbe agito con «lucida consapevolezza e particolare spregiudicatezza, rappresentata dalla consapevolezza della difficile situazione familiare della minore e della sua evidente fragilità».
I messaggi a sfondo sessuale e la «subdola modalità seriale»
Il 21 novembre 2017, nella sua villa a San Paolo d'Argon, il 61enne ha accolto una ventenne che si era presentata per un annuncio di pulizie. Lui le aveva proposto scatti fotografici, palpeggiandola. Lei, accompagnata dal fidanzato, aveva sporto denuncia ma l'aveva successivamente ritirata per timore di non avere prove sufficienti. I giudici hanno descritto nelle loro motivazioni «l'inclinazione» dell'uomo ad «approfittare dell'ingenuità di ragazze molto giovani e una subdola modalità seriale» nel suo approccio con loro.
Gli altri fatti risalgono l'8, il 10 e l'11 luglio 2018. I due, qualche giorno prima del corso, si scambiano messaggi a chiaro sfondo sessuale, di cui lui «si compiace anziché prendere le distanze». Quando la quindicenne si ferma a dormire alla sede dell'agenzia, l'uomo ha abusato di lei per tre notti. La prima sera lei beve del vino a una cena di gruppo. In quelle successive, sobria, tenta di dissentire ma alla fine acconsente al rapporto sessuale. «Sapevo che non potevo tornare a casa e mi sono lasciata andare» ha confessato. La ragazzina ha spiegato di non avere avuto ricarica sul telefonino per chiamare a casa.
Una volta tornata, racconta tutto alla madre e insieme vanno al Pronto Soccorso, dove viene riscontrato un arrossamento nelle parti intime, «coerentemente con il dato temporale riferito». I giudici spiegano che non servono altre prove oltre al racconto: lei è lineare, non ha negato «di avere infine prestato il consenso» riferendo «circostanze a sé sfavorevoli». Ad avere approfittato della «relazione fiduciaria» e della sua condizione di «autorevolezza» è il 61enne, l'uomo adulto. E proprio perché «si è in presenza di un'adolescente che non ha raggiunto la piena capacità di autodeterminazione, certi tipo di rapporto non sono compatibili con il compimento di atti sessuali, stante il rischio di strumentalizzazione della fiducia riposta dal minore stesso».
Lui, inizialmente, aveva negato l'accusa: secondo la difesa, infatti, la madre della quindicenne avrebbe spinto la figlia a denunciare l'uomo per vendicarsi del fatto che lui non accettò di inviare gratuitamente i book fotografici. Per questo motivo aveva chiesto l'assoluzione piena, ma è stato condannato infine a nove anni e sei mesi di reclusione.