Da un reportage del Messaggero Veneto

L'uomo che in Africa libera i malati di mente dalle catene

L'uomo che in Africa libera i malati di mente dalle catene
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Il Messaggero Veneto ha dedicato un servizio ampio e dettagliato all’opera di Grégoire Ahongbonon, l’ex gommista e proprietario di taxi che ha dedicato la sua vita alla liberazione dei malati di mente nelle regioni dell’Africa Nera occidentale (soprattutto in Benin e in Costa d’Avorio). «Liberare» va qui inteso in senso letterale, perché l’Africa non conosce né i manicomi né la legge 13 maggio 1978 n°180 nota come Legge Basaglia. Pertanto chi venga ritenuto non a posto di testa viene semplicemente preso e legato da qualche parte. Di solito a un albero, ma anche al muro di qualche edificio in abbandono. Con o senza cibo o acqua. In altri casi sono messi in ceppi di legno o di metallo piantati a terra, o costretti a vagare nudi perché tutti possano riconoscerli e tenerli a distanza.

La diagnosi che conduce a questi trattamenti sanitari è di tipo ancestrale e il lessico clinico in vigore dispone di un solo termine per formularla: indemoniati. Ovviamente il demonio in oggetto non è quello cui pensiamo noi occidentali evoluti: è uno spirito appartenente alle tradizioni locali, le cui autorità medico-religiose non sanno distinguere un disturbo bipolare da un caso di schizofrenia, l’oligofrenia dall’ubriachezza cronica. Basta dunque presentare una qualche stranezza per trovarsi legati al palo talvolta mani e piedi, talaltra solo piedi, in alcuni casi anche il collo.

Ma l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) non fa niente, non interviene? No. L’OMS è perfettamente a conoscenza del fenomeno, ma è troppo impegnata nel tracciare piani di intervento globali - solitamente risolti in un nulla di fatto - per potersi occupare di situazioni come questa. E i medici locali? Loro potrebbero certamente intervenire: ma in tutta la Costa d’Avorio di psichiatri ce ne sono solo due. Che presumibilmente hanno una clientela diversa. E allora ci ha pensato Grégoire Ahongbonon.

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Nato nel 1953 a Ketoukpe, villaggio del Benin al confine con la Nigeria, viene battezzato e cresciuto in famiglia. Nel 1971 emigra in Costa d’Avorio dove lavora presso un gommista prima di metter su un piccolo business di taxi. Il denaro gli dà alla testa. Così abbandona la Chiesa cattolica trovando molto più interessanti i riti tribali. Ma la fortuna gli gira le spalle e Grégoire si trova senza più un soldo e sull’orlo del suicidio. Qualcuno lo prende per i capelli e così l’antico gommista decide di tornare al cristianesimo e di partecipare - nel 1982 a 29 anni - a un pellegrinaggio in Terra Santa. Quando sente dire da un sacerdote che «ogni cristiano deve posare una pietra per costruire la Chiesa» pensa che quella frase sia diretta proprio a lui.

Rientrato a Bouaké si imbatte in un tale, completamente nudo, che si aggira per le strade in cerca di cibo. Capisce subito che è fuori di testa e qualche giorno dopo capisce anche che non è il solo a trovarsi in quella situazione. Tutta l’Africa occidentale presenta casi di persone affette da disturbi psichici tenute peggio delle bestie. Grégoire decide allora di dedicare il resto dei suoi giorni a liberarle, vestirle,  toglierle dalla strada. È povero, ma quelli sono più poveri di lui. Avvia un gruppo di preghiera che poco tempo dopo evolverà in un gruppo di carità per i malati bisognosi di cure: è l'Associazione S. Camillo de Lellis di Bouaké. Visitano gli ammalati, ma non hanno di che acquistare medicine: si limitano a lavarli e a fare loro compagnia.

Dopo i malati di mente scoprono i carcerati. Cercano aiuto in Costa d’ Avorio e in Occidente, fondano i primi ospedali, fino a fare di quello di Bouaké l’unico centro attualmente in grado di assistere gli sbandati di ogni genere cresciuti - numericamente - a dismisura dalla guerra del 2002. Nei centri di Grégoire vivono per lo più musulmani. A Bouaké ha occupato la chiesa dell’ospedale: i ricoverati ci dormono, la domenica partecipano alla messa. Chi non è cattolico se vuole esce, se non vuole continua a dormire. Esattamente come da noi durante certe omelie.

Dal 1995 Grégoire gira instancabilmente: villaggio dopo villaggio, casa (parola grossa) dopo casa, ospedale (diciamo così) dopo ospedale. Quando trova un malato in ceppi o incatenato si ferma, spiega a quelli intorno che non è da uomini infliggere certe sofferenze a un essere umano, dice a tutti cosa si appresta a fare: dopo di che apre il lucchetto o scioglie i nodi delle corde. Poi, aiutato dai suoi amici, prende il poveretto (o la poveretta) per mano, e se lo porta via. Lo porta in uno dei suoi centri di accoglienza, per curarlo con quella che lui chiama la “terapia dell’amore”, sperando di poterlo mettere in condizione di tornare in famiglia o al villaggio libero, sano, felice.

 

 

«Lo sguardo verso un malato significa tutto per lui», spiega Grégoire «lo sa già se lo amate o non lo amate, sa già come lo considerate». Nei suoi centri di accoglienza e di lavoro i malati non formano una categoria a parte. «Noi sani», spiega Grégoire, «pensiamo che siano diversi e invece sono capaci di fare le stesse cose che fanno tutti. Quando si accoglie un malato, dopo pochi mesi lo si può già ritrovare in un centro di lavoro. Basta che la persona ritrovi la fiducia, ritrovi l’amore, basta che sia reintegrata e tutto riparte».

Negli ultimi mesi è stato aperto il nuovo centro a Djougou in Benin, che ha già accolto circa 250 malati, mentre sta per partire la costruzione di un nuovo centro ad Alepé, a pochi km da Abidjan in Costa d’Avorio, per il quale Grégoire ha ricevuto in dono un terreno di 5 ettari direttamente dal nunzio apostolico. «Il lavoro si moltiplica e adesso ci arrivano richieste anche dal Burkina Faso e dal Ghana», dice Grégoire, che continua a non ricevere alcuna sovvenzione né dai governi locali né da istituzioni internazionali. Se gli si chiede come fa a portare avanti tutti i centri, lui allarga le braccia:  «La Provvidenza, mio caro...». Oggi i centri Saint Camille sono 15 ed ospitano in tutto circa 2.500 malati, mentre quelli reintegrati in famiglia sono più di 22.000.

Grégoire è sposato ed è padre di 6 figli, vive a Bouaké in Costa d'Avorio.

In Italia si occupa dell’Associazione St. Camille de Lellis di Bouaké  l’Associazione di Solidarietà Internazionale “Jobel onlus” di San Vito al Torre. Vedi anche: il Friuli si mobilita e l’Associazione Jobel a Bruxelles.

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