«Peggio dello sceriffo di Nottingham»

La chiamano "delirium tax" (e fa impazzire i bolognesi)

La chiamano "delirium tax" (e fa impazzire i bolognesi)
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Negli ultimi giorni i commercianti bolognesi sono in rivolta per l’arrivo di un nuovo balzello: la Delirium Tax. È stata ribattezzata in questo modo, dagli abitanti del capoluogo emiliano, la tassa che colpisce tutto ciò che riguarda la pubblicità in vetrina. Voluta dal sindaco democratico della città, Virginio Merola, esponente del Partito Democratico, che si è trovato in pochi giorni una fiumana di commercianti, artigiani, ristoratori e proprietari di piccoli negozi, davanti alla porta per protestare contro questa imposta, che gli esattori della città delle torri in brevissimo tempo hanno iniziato a riscuotere.

La tassazione. L’imposta applicata prende spunto dal Decreto Legislativo numero 507 del 15 novembre 1993, adattato con un apposito regolamento comunale, del quale riportiamo di seguito l’ambito di applicazione (articolo 1, comma 1): «La pubblicità esterna e le pubbliche affissioni sono soggette rispettivamente ad una imposta, ovvero ad un diritto a favore del Comune nel cui territorio sono effettuate». Inoltre occorre sottolineare come i commercianti siano obbligati per legge a pagare anche un imposta comunale del 2009 sulla pubblicità, dovuta «da chiunque effettua la pubblicità tramite insegne, fregi, cartelli, targhe, stendardi, striscioni, tele, tende, ombrelloni, globi, fac-simile o altri mezzi similari».

Ora, negli ultimi giorni, ecco arrivare ai proprietari dei vari negozi multe per affissioni del menù del ristorante in vetrina, promozioni dell’attività commerciale e per un piccolo cartello indicante gli orari di lavoro. Si va dalla multa commutata ad un fotografo per aver esposto in vetrina le foto di alcuni matrimoni da lui scattate, fino al tabaccaio multato per aver scritto il classico “self service aperto 24 ore su 24”, passando per gli adesivi delle carte di credito posti sulla porta di un comunissimo locale. La beffa è che i commercianti sono obbligati per legge ad esporre in vetrina i cartelli con i prezzi della loro attività, altrimenti rischiano multe severe e salate. Dice uno di loro: «Come si fa a pagare una tassa su misure obbligatorie per legge, come l’esposizione dei prezzi? Che faccio, li tolgo e poi mi faccio fare la multa da un vigile che passa e non li vede?». Una farmacista inferocita ha appeso uno dei cartelli incriminati con le seguenti parole: «In un momento di crisi, multa di 1.500 euro per i cartelli esposti in vetrina dopo avere pagato 1.100 euro per le insegne. Multatemi anche per questo cartello!».

 

TAXSS

 

Il precedente. Già nel 2009, durante il mandato come sindaco di Sergio Cofferati, un gioielliere bolognese, con attività commerciale nel centro della città, si era visto multare uno zerbino con le sue iniziali posto all’esterno del negozio. Essendo visibile da tutti, il tappetino era stato ritenuto dalla giunta comunale, e dalla società di riscossione Gestor, forma di pubblicità ed oggetto di tassazione. Erano seguiti altri sporadici casi, accompagnati da denunce da parte dei commercianti. La scarsa chiarezza del decreto però rende ogni tipo di considerazione opinabile e adattabile al “volere comunale”: nel caso bolognese, dove già la pressione fiscale è alta, l’esigenza era quella di fare cassa e si è utilizzato un metodo a di poco infelice. Cinque consiglieri comunali dell’opposizione hanno sottolineato la contraddittorietà del provvedimento, ricordando come nel D.L. sono da considerarsi esentati “le insegne inferiori ai 5 metri quadrati poste sulla sede dell’attività”, ed hanno invitato l’amministrazione comunale ad individuare criteri più chiari ed oggettivi per evitare di accentuare il periodo di crisi aziendale.

La vicesindaco Sofia Giannini, vista anche la mancata presenza di Merola all’ultimo consiglio comunale, ha assicurato che cercherà di trattare con l’AIPA, l’Agenzia Italiana per Pubbliche Amministrazioni S.p.a. che si occupa di prelevare le imposte, per alleggerire le regole rigide e schematiche del prelievo. Certo è che nell’ultimo anno le contravvenzioni sono salite a 1620 per una tassa che, citando La Repubblica, «avrebbe imbarazzato persino lo sceriffo di Nottingham».

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