Il camminatore

Enzo Valenti: «Quando salgo in montagna lascio giù, sotto, ansie e preoccupazioni»

L'84enne di Gromo, in Valseriana: «La montagna significa "solitarietà". È un luogo ritrovarsi con se stessi e con gli altri»

Enzo Valenti: «Quando salgo in montagna lascio giù, sotto, ansie e preoccupazioni»
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di Angela Clerici

«La montagna era ed è il luogo dove ritrovare se stessi. La montagna anche per noi montanari era il posto dove ti ri-creavi. Non si correva in montagna, il passo doveva essere lento, cadenzato e manifestava una disciplina interiore. Non si correva in montagna, no. A meno che lo facessi come sportivo, come atleta che partecipava alle competizioni specifiche di corsa in montagna. Ma fuori da quell’ambito, andavi sui sentieri camminando. Il movimento cadenzato, fisso, il controllo della fatica e del respiro ti aiutavano a entrare nel respiro stesso della montagna».

Enzo Valenti ha 84 anni, tutti vissuti tra le nostre valli. È nato a Vertova, da piccolo si è trasferito con la famiglia a Gromo, ha abitato a Valbondione, quindi è tornato in quel paese d’incanto che è Gromo.

La montagna non è soltanto il posto dove abita da sempre, ma è anche la sua grande passione. Racconta: «Una volta o due la settimana dovevo andare a camminare, era un’esigenza spirituale, psicologica, prima ancora che fisica. Perché quando percorrevi la Val Sedornia piuttosto che la Val Sanguigno, quando salivi in Selva d’Agnone piuttosto che affrontavi i percorsi del Curò o del Coca o della Presolana lasciavi giù, sotto, le ansie, le preoccupazioni, i pensieri della vita di tutti i giorni ed entravi in una dimensione dove contava soltanto l’essenziale. Le preoccupazioni per il lavoro, per l’affitto da pagare, per i figli da crescere restavano giù. Tra le montagne respiravi il bello della vita. Ancora oggi, appena posso, salgo a riconoscere il bello della vita. È che oggi l’età e gli acciacchi si fanno sentire e allora vado molto meno e quelle escursioni mi mancano».

La polemica sulle croci in vetta

Valenti ha seguito la polemica riguardante le croci sulle vette. Spiega: «Le croci le ho sempre viste da quando vado su per i sentieri, dalla fine degli anni Quaranta del secolo scorso. Le croci sono apparse sulle nostre montagne a cominciare dall’Ottocento, prima si andava su per i pendii soltanto per lavoro, per le greggi, le mandrie, le miniere. Per tagliare i boschi, per recuperare lo strame, le foglie che servivano da lettiere per le bestie. Quando la montagna è diventata anche una meta, un’esigenza dello spirito, allora sono apparse le croci (...)

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