Cent'anni dopo, quel ciliegio ai piedi della diga del Gleno
È cresciuto maestoso proprio sotto la grande ferita dalla quale si abbatterono sulla Valle di Scalve milioni di metri cubi d’acqua
di Alessandro Romelli (per gentile concessione dell’autore e della rivista Val)
Salire alla Diga del Gleno, farvi ritorno. Nell’anno in cui cadono i cento anni dal mattino del disastro, avvenuto alle 7.15 del 1° dicembre 1923. Raggiungere questo luogo straordinario, in cui - come forse in nessun’altra parte delle nostre valli - bellezza e dolore si intrecciano a vicenda. Si abbracciano e si illuminano.
Un frammento unico nel mosaico delle Orobie. Che fin da bambini abbiamo ricevuto in consegna, fra le mura di casa o fra i banchi di scuola, nel gomitolo dei racconti che avvolgono l’evento della tragedia nella sua nudità. Così sono diventati parte di noi gli operai della valle che dal cantiere su al Gleno tornavano inquieti, preoccupati per l’andamento dei lavori.
E poi le donne con le gerle, impegnate nel trasporto a monte dei materiali di costruzione; le prime crepe e i rigagnoli d’acqua sulla pelle del muro, mentre ancora saliva; le colpevoli omissioni nella catena dei controlli, una lezione della storia che in Italia non abbiamo ancora imparato, dal Vajont al Ponte Morandi, alla superficialità con cui ancora oggi derubrichiamo da molti progetti l’analisi degli effetti che avranno sugli equilibri sottili della natura o del clima.
E ancora, la fretta di finire, di afferrare il profitto; quel boato nel primo mattino e la folle corsa a balzi del guardiano Morzenti; il sagrestano di Bueggio, strappato via dal vento insieme al campanile; il paese di Dezzo, sommerso due volte; l’acqua e le fiamme che quel giorno si alzarono insieme dalle centrali; la piena che travolse la Valle Camonica fino a gonfiare il Lago d’Iseo. Infine, la delusione per gli esiti della giustizia, mai come allora così tristemente terrena.
Tutto questo fa parte di noi, è vivo persino negli occhi di noi che non lo abbiamo vissuto ma che già dall’infanzia abbiamo appreso (...)