Sanità lombarda

Regione apre gli Ospedali di Comunità ai privati, tra critiche e problemi da risolvere

Il Pirellone permette alle realtà profit e non profit di candidarsi presso le Ats. Ce ne sarà uno anche in provincia di Bergamo

Regione apre gli Ospedali di Comunità ai privati, tra critiche e problemi da risolvere
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Aperta la gestione degli Ospedali di Comunità ai privati: a stabilirlo è la Delibera regionale numero 1435 dello scorso 27 novembre, che permette alle organizzazioni profit e non profit di candidarsi ai concorsi delle Ats.

Nella disposizione si è inoltre stabilito che verranno istituiti undici nuove realtà di questo tipo in Lombardia, che forniranno un totale di 220 posti letto. Una distribuzione che ne prevede anche una a Bergamo, oltre che due a Milano, tre in Insubria, due in Brianza e tre a Brescia, con una capacità variabile tra quindici e quaranta posti letto per ogni struttura. Si tratterà, è bene sottolinearlo, di strutture diverse dal cosiddetto "pronto soccorso a pagamento" istituto a Zingonia, sebbene non siano ancora ben chiari diversi dettagli.

Critiche per l'apertura ai privati

Riguardo all'iniziativa, Uil Lombardia ha evidenziato quella che per il sindacato è «una notevole contraddizione», in quanto «la gestione di questi ospedali è affidata a soggetti privati, nonostante le ripetute critiche dell'assessore al Welfare Guido Bertolaso per la loro scarsa collaborazione nell'abbattimento delle liste di attesa».

Il segretario confederale Salvatore Monteduro è entrato poi più nello specifico: «Per la gestione dei posti letto in questi Ospedali di Comunità si sono stanziati ben 12 milioni e 304.369 euro, una cifra significativa che rafforza ulteriormente la posizione degli erogatori privati nel sistema sanitario lombardo. Questo approccio alimenta preoccupazioni in merito alla continua preferenza della Regione verso gli erogatori privati, a discapito del settore pubblico, soprattutto considerando l'assenza di vincoli chiari e rigorosi relativi alla tutela dei lavoratori. La mancanza di requisiti specifici per l'applicazione dei Contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente rappresentativi e l'assenza di garanzie sul rispetto dei rinnovi contrattuali sono questioni di fondamentale importanza, che non possono essere trascurate»

La Uil ha criticato, inoltre, il mancato coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nell'iter di approvazione della Deliberazione, un'esclusione che impedisce un dialogo sociale fondamentale per una completa valutazione delle implicazioni lavorative e dei diritti dei lavoratori coinvolti. «Invitiamo la Lombardia a rivedere la propria strategia, promuovendo un maggiore equilibrio tra settore pubblico e privato e ponendo al centro delle proprie politiche la tutela dei diritti dei lavoratori e la qualità del servizio sanitario».

L'abbattimento tariffario

La Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale), con il presidente lombardo Luca Degani, ha invece commentato che «la principale criticità è l'abbattimento tariffario che, soprattutto dal sessantesimo giorno, rischia di rendere economicamente insostenibile la gestione del servizio». nello specifico, le tariffe indicate sono di 154 euro al giorno per i primi trenta, che poi scendono a 107,80 euro al giorno fino al sessantesimo e infine 77 euro al giorno dal sessantunesimo a proseguire.

La situazione attuale

Nel frattempo, arriva anche il commento del consigliere regionale dem Samuele Astuti, che ritiene che a oggi non siano stati raggiunti dal Pirellone gli obiettivi che aveva stabilito invece per le Case di comunità. In totale, sul territorio lombardo devono esserne realizzate 199, ma a giugno scorso erano 92, quando a fine anno dovrebbero aprirne 129. In Bergamasca dovrebbero esserne realizzate in totale venti, mentre a ottobre ne erano attive già dodici (Borgo Palazzo, Calcinate, Gazzaniga, Grumello, Vilminore, Sarnico, Lovere, Trescore, Treviglio, Martinengo, Dalmine e Ponte San Pietro). Adesso sono operative anche quelle di Clusone e Alzano Lombardo.

In diversi casi in tutta la Lombardia, però, le strutture presentano difficoltà: il 45 per cento di quelle attualmente aperte non rispetta il requisito della presenza di un medico per sessanta ore a settimana. Nel 25 per cento dei casi, inoltre, la presenza di un professionista è garantita per meno di trenta ore settimanali, mentre la diagnostica e la continuità assistenziale sono attivi solo nel 65 per cento delle strutture. Il 35 per cento rimanente, sempre secondo Astuti, sarebbe costituito da delle sorta di «scatole vuote», che non offrirebbero alcun servizio aggiuntivo rispetto al passato ai cittadini.

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Loris Pagnotta

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