Senna, che oggi avrebbe 55 anni

Cesare Cremonini nel 2005 cantava che «da quando Senna non corre più non è più domenica», facendo eco a Lucio Dalla, che nella prima traccia dell’album Canzoni del 1996 sottolineava che «non è più la stessa strada, anche se non è più la stessa cosa». Raccontare in un articolo chi è stato Ayrton Senna è un’operazione ambiziosa per quei giornalisti che lo hanno conosciuto negli anni della sua ascesa, figuratevi per uno che ha iniziato ad interessarsi seriamente di Formula 1 perché affascinato dalla superba manovra di Mika Hakkinen a Spa nel 2000. Anche a più di 21 anni dalla morte, avvenuta in quel terribile weekend del 1 maggio 1994 a Imola, è impossibile riuscire a definire Senna in un’immagine, perché, come avvenuto a campioni come Gigi Meroni o Luciano Re Cecconi in ambito sportivo, o a personalità del calibro di JFK e Martin Luther King, le terribili circostanze della morte hanno contribuito a creare intorno i connotati della leggenda.
Guardando lo splendido film-documentario, che il regista anglo-indiano Asif Kapadia ha dedicato a Senna nel 2010, impressionano due cose: in primis le espressioni del viso di Ayrton, che parlano molto di più di quanto possano aver fatto le parole, polemiche in certi casi o spensierate in altri, e dall’altro il lungo silenzio che accompagna la bara del campione brasiliano dal momento dell’arrivo all’aeroporto di San Paolo, che ricorda parecchio il saluto che l’America diede a Bob Kennedy, immortalato dagli scatti magistrali del Funeral Train di Paul Fusco. Spesso si sente dire che uno sguardo vale più di mille parole; mai come questa volta la frase è pertinente. Senna non era un bizzarro alla James Hunt, e nemmeno un professore come Alain Prost, suo acerrimo rivale, era la personificazione del “mito” che in quel momento risvegliava il Brasile. Raccontarlo in maniera originale rischia di sfociare in una pretesa qualunquistica e nemmeno interessante, ricordarlo attraverso aneddoti, emozioni ed avvenimenti ci sembra essere il modo più bello per omaggiare uno dei più grandi piloti di sempre. Uno per cui, parlando con appassionati più anziani, ti capita di sentire dire «per me la Formula 1 è finita ad Imola il 1 maggio 1994».
A come Ayrton da Silva. Nato il 21 marzo 1960 a San Paolo inizia la carriera come Ayrton Senna da Silva, essendo figlio di Milton da Silva e di Neide Senna. Nel 1983, ultimo anno in Formula 3, quando ancora i giornali titolavano: «Da SilvaStone!», decide di mantenere solo il cognome della madre, perché quello del padre era troppo comune tra i brasiliani. Tale prassi era già stata utilizzata dal connazionale Nelson Piquet in precedenza (anche se Nelson lo fece per nascondere al padre il fatto che gareggiava coi kart).
B come Balestrè Jean Marié. Una delle persone contro cui Senna maggiormente si scagliò durante la sua carriera. Fu presidente della FIA (Fédération Internationale de l’Automobile) dal 1986 al 1993, e spesso prese decisioni “sfavorevoli” al campione brasiliano che, molte volte, avvantaggiarono Prost, connazionale di Balestré. Su tutte l’episodio accaduto a Suzuka nel 1989, per il quale, a due anni di distanza, Senna dichiarò: «Balestré mi rubò un titolo nell’89, hanno detto che gli ho chiesto scusa (per l’atteggiamento che tenne subito dopo, ndr); ma non è vero».
C come coni. Suzuka 1990. I piloti si ritrovano nella consueta riunione pre-gara con i commissari della FIA per discutere di tutti rischi in merito al GP da correre. Rispetto all’anno precedente Prost è passato alla Ferrari, mentre Senna è ancora furioso per la squalifica communatagli l’anno precedente che gli fece perdere il mondiale. Durante la riunione il brasiliano fa notare l’impossibilità di evitare il taglio della chicane del triangolo, vista la pericolosità di rientrare in pista tramite un’inversione che avrebbe potuto causare scontri con gli altri piloti, e propone di posizionare dei coni da evitare in modo da impiegare lo stesso tempo della chicane “saltata”. La proposta viene votata in maniera positiva dai piloti e approvata dai vertici della FIA, mostrando la “malafede” della decisione presa l’anno precedente nel medesimo punto che aveva assegnato il mondiale a Prost.
D come donne. Come tutte le leggende che si rispettino, Senna era affascinato dalle belle donne, meglio se bionde. Si era sposato nel 1981 con Lilian de Vasconcellanos Souza, conosciuta negli anni giovanili in Brasile, che faticò ad ambientarsi ai ritmi di vita del marito. Molto si parlò del flirt tra Senna e Xuxa Meneghel, showgirl della tv brasiliana (ex compagna di Pelè), e di quello tra il campione di San Paolo e Carol Alt. L’ultima compagna di Ayrton fu Adriana Galisteu, conosciuta durante il GP del Brasile del 1993.
E come Estoril. Il 21 aprile 1985 Ayrton in sella alla Lotus-Renault, alla seconda gara con tale autovettura, conquista la sua prima vittoria in F1 al termine di un weekend meraviglioso che gli permise di conquistare pole position, giro più veloce e di mantenere la testa della corsa per tutta la gara. È in questo GP, dove trionfò su Alboreto e sul francese Tambay, che si ebbero le prime conferme su Senna “re della pioggia”.
F come Ferrari. Un matrimonio interrotto prima ancora di cominciare: «Aspettatemi perché arriverò», aveva detto ai tifosi del cavallino rampante nel ‘94 poco prima di Imola. Prima l’inesperienza e poi l’impossibilità di condividere nuovamente la stessa scuderia con Prost, privarono i sostenitori della Rossa di poter vedere l’asso brasiliano a Maranello. Resta la certezza con cui disse «un giorno guiderò una Rossa. È uno dei miei sogni».
G come Giappone. L’apice della rivalità Senna-Prost si consuma in terra nipponica tra la stagione 1989, con i due entrambi in McLaren, e il 1990, con il francese passato in Ferrari. Nel 1989 l’episodio della squalifica di Senna che, nonostante lo “speronamento” col rivale, era riuscito a rientrare in pista e a vincere in rimonta la gara, rimettendosi in lizza per il mondiale; nel 1990 la polemica di Ayrton di partire sul “lato sporco” della pista nonostante la pole, non venne ascoltata dalla FIA, il brasiliano e il francese furono protagonisti di un ennesimo contatto “di gara” che li mise fuorigioco consegnando tra le polemiche il titolo mondiale ad Ayrton
https://youtu.be/sRS1Qs2bIwQ
H come Hill. Fu l’ultimo compagno di scuderia con cui corse Senna alla Williams. Damon aveva usufruito, per tutto il 1993, di una macchina come la Williams-Renault, dotata di dispositivi elettronici che permettevano alla vettura di essere superiore a tutte le altre. Nel 1994, stagione in cui Senna “rilevò” Prost, ormai ritiratosi, come prima guida nel team inglese i dispositivi elettronici vennero vietati.
I come incidente. Memorabili le sue dichiarazioni rilasciate in seguito allo scontro con Prost a Suzuka nel 1990, che gli consegnarono il titolo per la seconda volta: «Perché provocai l’incidente? perché ero stato rovinato dal sistema. Se succede ogni volta che cerchi di fare il tuo lavoro in modo trasparente e giusto, cosa devi fare? Tirarti indietro e dire “Grazie, sì. Grazie”? È chiaro che non è possibile».
L come Lucio Dalla. Uno dei tanti che hanno reso omaggio a Senna a livello culturale, con la canzone “Ayrton” del 1996. La canzone inizialmente si chiamava “Il circo” e venne scritta da Paolo Montevecchi di Cesena dedicata alla scomparsa dell’immenso campione; Dalla, proprietario della casa discografica dove il compositore portò la VHS con la registrazione del pezzo, ne rimase estasiato e la “fece sua” cambiando il titolo in “Ayrton”
Mcome McLaren e Minardi. Due scuderie che per Ayrton volevano dire soprattutto Ron Dennis e Giancarlo Minardi. Con il primo c’era un rapporto di amore-odio, il classico tra datore di lavoro geniale e lavoratore particolarmente bravo, mentre con il secondo un grande rapporto di stima, culminata nel desiderio di Senna di voler chiudere la carriera in Minardi come collaudatore a titolo gratuito. Di Ron Dennis un ricordo che testimonia la grande unione è la difesa pubblica in favore di Ayrton contro il “duopolio” Prost-Balestrè post Suzuka 1989.
N come numeri. Ayrton Senna in Formula 1 disputò 161 Gran Premi, ottenendo 614 punti e vincendo tre titoli mondiali (1988, 1990, 1991). Ha vinto 41 Gran Premi, 65 volte è partito in pole position, conquistando 19 giri più veloci; inoltre si è classificato in prima fila nelle prove per 87 volte, ed è andato a podio quasi la metà dei Gran Premi disputati (80).
O come omaggio. Il 26 aprile 1997 in memoria di Ayrton è stata inaugurata ad Imola una statua in bronzo, opera di Stefano Pierotti, che ritrae il pilota brasiliano in raccoglimento pensoso. L’opera si trova in corrispondenza della curva Tamburello, luogo dove avvenne l’impatto fatale.
P come Prost. Come in tutti le rivalità sportive, uno senza l’altro non sarebbe stato la stessa cosa. Bartali senza Coppi, Bird senza Johnson, Federer senza Nadal, Ronaldo senza Messi. Senna senza Prost sarebbe stato molto meno di quello che è diventato. La cosa che sorprende è come la competizione in McLaren abbia potenziato il tutto, nonostante l’iniziale idillio apparente. Basti pensare che Alain nel 1988 dichiarava: «Senna è un pilota dalle immense qualità. Se devo essere onesto, non riesco a trovargli un difetto». Un difetto che però già nel 1989 Prost sembrava aver trovato visto che le sue parole erano: «È un pilota senza onore, non è bello battersi con lui».
Q come quarantadue. Fu il numero con il quale esordì sui go-kart il 1 luglio 1973 ad Interlagos in una gara ufficiale. La passione per i kart conquistò da subito Senna che, sfruttando il fatto che il padre possedeva un’officina meccanica, potè mettersi in sella già all’età di 4 anni. A 8 anni arrivò il primo “vero” kart e la possibilità di sfidare ragazzi di 7/8 anni più grandi di lui: numero 42, casco verdeoro e via verso l’olimpo delle quattro ruote. Iniziò tutto in questo modo.
R come religione. La grande fede di Senna derivò dall’educazione ricevuta da mamma Neide durante l’infanzia in Brasile. La sua devozione si manifesta fortemente durante gli anni del successo, tanto che Ayrton nel 1988 rivelerà di portare sempre appresso a sé la Bibbia e di leggerne spesso dei passi, inoltre dichiarò di aver visto Dio al suo fianco alla partenza del GP del Giappone nel 1988, al termine del quale vinse il suo primo mondiale. Il suo rapporto diretto con Dio è stato oggetto di scherno da parte di Prost che dichiarò: «Senna dice che crede in Dio...Probabilmente è tanto convinto da pensare di essere immortale, altrimenti non farebbe quello che fa». Sulla tomba del pilota è incisa la frase di San Paolo: «Niente mi può separare dall’amore di Dio».
S come Simtek. È il nome della scuderia con la quale corse Roland Ratzenberger, prima vittima del weekend di Imola. In precedenza anche Rubens Barrichello, all’epoca pilota della Jordan, era stato vittima di un terribile incidente, fortunatamente senza subire gravi conseguenze. Il pilota austriaco invece si schiantò a 306 km/h contro il muro esterno della curva Villenaueve, dopo aver rotto l’ala anteriore in precedenza. Inutili furono i soccorsi per Roland, che morì all’Ospedale Maggiore di Bologna sette minuti dopo il suo arrivo al pronto soccorso.
T come Toleman. Fu la prima vettura di Formula 1 guidata da Senna che gli permise di farsi notare dal grande pubblico dell’automobilismo. Pur durando solamente un anno (il 1984), il rapporto tra Senna e la scuderia inglese portò alla migliore stagione nella breve vita del team di Ted Toleman. Il brasiliano portò per la prima volta a podio la macchina nel GP di Montecarlo, dove si classificò secondo, ottenendo a fine stagione un ottimo settimo posto nella classifica costruttori.
U come un austriaco e un brasiliano. Profondo e consolidato il rapporto di amicizia tra Senna e Gerhard Berger. I due, oltre al rispetto reciproco, erano soliti farsi molti scherzi. Si racconta che una volta l’austriaco sostituì la foto del passaporto di Senna con un’immagine raffigurante gli organi genitali maschili, che costò al brasiliano la reclusione per 24 ore presso la polizia aeroportuale argentina. Per vendicarsi Ayrton incollò tra di loro tutte le carte di credito di Gerhard.
V come Vaffanculo. È l’esclamazione con cui Senna nel 1991 celebra, dalla radio presente sulla sua monoposto, il primo trionfo nella gara casalinga di Interlagos, che stava diventando un vero tabù. Durante il GP Ayrton domina, fino a quando, a una decina di giri dalla fine, inizia a perdere tutte le marce, ad esclusione della sesta. Senna, con un grande sforzo fisico, riesce a finire la corsa in testa alla classifica, pur uscendo stremato dalla macchina al termine dell’impresa, senza quasi a riuscire a sollevare il trofeo al momento della premiazione.
Z come zero. Si può riferire a tante cose: ai punti di Senna l’anno della morte, al numero di traguardi che Ayrton non è riuscito a raggiungere, oppure all’incidenza che ha nella Formula 1 moderna la bravura del pilota rispetto alla macchina, altri tempi rispetto a quelli di Senna e Prost.
Ayrton Senna da Silva alle ore 14.17 del 1 maggio 1994 si schiantò contro il muro della curva Tamburello del GP di San Marino ad Imola, terza corsa in programma per il Campionato Mondiale di Formula 1 1994, morì alle 18.40 presso l’Ospedale Maggiore di Bologna, dopo che non aveva mai ripreso conoscenza in seguito all’incidente. Il lungo viaggio per riportare la salma di Ayrton in Brasile iniziò il 4 maggio su un aereo che fece tappa a Parigi, prima di arrivare a San Paolo, la bara fu sempre tenuta in top class come richiesto dalla famiglia. Il presidente del Brasile Itamar Augusto Cautiero Franco dichiarò tre giorni di lutto nazionale. L’aereo arrivò all’aeroporto di Cubica, a pochi chilometri da San Paolo, alle 11.12 (ora italiana, le 6.12 del Brasile) del 5 maggio 1994. Dopo più di cinque ore di esequie, a cui parteciparono circa 2 milioni e mezzo di persone, dai bambini delle favelas per arrivare a Prost e Dennis, la bara fu deposta presso il cimitero di Morumbì, dove è tutt’oggi luogo di continui pellegrinaggi.