Filippo Gatti rientra a Mozzo da Gaza: «Senza medicine, cancrene e amputazioni»
Ha terminato la sua esperienza nella Striscia in guerra: sei settimane dure, in cui ha coordinato le attività di soccorso di migliaia di feriti
di Dino Ubiali
Filippo Gatti è rientrato in questi giorni dalla sua missione a Gaza dove si trovava nel ruolo di coordinatore del “Team rapid deployment” della Croce Rossa internazionale.
Infermiere con base Ginevra, con un Master in Medicina Tropicale e Salute Internazionale all’Università di Brescia, dal 2006 è impegnato in missioni nelle zone di guerra o in paesi poveri: Sud Sudan, Sudan, Sierra Leone, Afghanistan, Messico.
«Ho terminato, come da protocollo interno, il periodo di quattro settimane, che poi sono diventate sei, a Gaza per organizzare le attività di soccorso delle migliaia di feriti palestinesi in questi giorni di conflitto». Il team da lui coordinato ha fatto sopralluoghi in diversi ospedali della striscia di Gaza per trovare una sede idonea per poter operare nel modo più sicuro durante i combattimenti.
Al Shifa, il più grande ospedale della zona, Nasser Hospital che ha la più ampia unità grandi ustionati, la sede Red Crescent che però era molto vicina a un grande mercato in una zona ad alta pericolosità. Il terzo ospedale, dove poi hanno trovato gli spazi necessari, l'European Gaza Hospital costruito con i fondi europei negli anni 2000, che però non aveva una unità grandi ustionati.
«Qui abbiamo trovato un edificio costruito dagli Emirati Arabi per l’emergenza Covid, ma mai attivato. Con il nostro team formato da chirurgo ortopedico e plastico e la collaborazione dei dirigenti dell’ospedale, abbiamo attivato un’area grandi ustionati. Sessanta posti letto che abbiamo subito riempito con il trasferimento da altri ospedali del nord attraverso ambulanze e autobus. Purtroppo a causa della confusione e mancanza di medicinali, soprattutto antidolorifici, le condizioni dei pazienti erano molto precarie e le ferite non curate hanno causato cancrene e conseguenti amputazioni. Abbiamo organizzato un reparto accettazione e triage nei locali delle scuole vicine».
«Purtroppo le aree dell’ospedale principale, oltre ai degenti, erano affollate dai parenti e altri sfollati: 960 pazienti e oltre novemila sfollati che vivevano nei corridoi con enormi problemi di convivenza - aggiunge -. C’era chi scollegava i cavi dell’ospedale per poter accendere i fornelli elettrici o disconnetteva la rete idraulica per potersi lavare creando notevoli problemi al funzionamento dei reparti (...)