Recensione

La lotta per restare umani, nell'inferno di ghiaccio

“La società della neve” di Bayona mostra la necessità di evolvere per salvarsi e il rischio di imbarbarirsi

La lotta per restare umani, nell'inferno di ghiaccio
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Di Fabio Busi

«Guarda che bellezza. Peccato che siamo morti». In mezzo a quell'abbacinante inferno di neve, il gruppo di dispersi combatte e si agita lungo due direttive contrapposte. Perché in questo frammento di umanità che si forma ex novo dopo il terribile incidente aereo tra le cime delle Ande, le aspirazioni e le tentazioni sono duplici.

Non a caso il film di Juan Antonio Bayona si intitola “La società della neve”: siamo di fronte a una rifondazione dei principi e dei valori che reggono un gruppo di persone che vuole in qualche modo essere strutturato ed efficace. Una comunità che ha fame, tanta, ma non vuole perdere la sua etica, i suoi valori.

Dopo il trauma, la sofferenza, lo stupore, quegli uomini devono riorganizzarsi, costruire nuove tecnologie, infrastrutture, oggetti. Devono soprattutto fissare un senso, pianificare degli obiettivi che in quelle valli immense sembrano difficili da afferrare. In fondo, il vero enigma è questo: che cosa fare del tempo a disposizione? Come affrontare una natura così ostile? In piccolo, vediamo l'uomo rifare il suo percorso di evoluzione sociale.

Al vertice opposto, la tentazione dell'imbarbarimento. La fame morde, la noia e la pazzia sono compagne nelle giornate sempre uguali. Su tutti, un dilemma terrificante: cibarsi o meno delle carni dei propri simili, morti nell'incidente aereo o per via degli stenti?

Insomma, l'evoluzione e l'involuzione camminano mano nella mano: ognuno dei dispersi le affronta a modo suo. Ed è interessante notare che per compiere il salto “evolutivo” non sia mai sufficiente la sola tecnologia, ma serva un'impresa individuale, un volo (pindarico?) oltre i limiti o quelli che crediamo essere tali.

Bayona affronta la vicenda e i suoi dolori con sobrietà, inquadrando da vicinissimo quei volti sempre più lividi, quasi mostruosi, scheletrici. Oppure, vola alto per mostrare quell'anfratto di umanità disperso in una natura bella e terribile. Ma più di tutto riesce, attraverso il suo sguardo per lunghi tratti claustrofobico, a dare quel senso di vertigine e ripugnanza di fronte alla scelta di cibarsi o meno di carne umana. Le budella si contorcono anche a noi che guardiamo.

Un racconto veramente corale, realistico, senza sottolineature retoriche. Ma alla fine, dopo lo stillicidio e la morte incombente, vedere quegli elicotteri che atterranno sul pianoro ghiacciato farà esultare di gioia anche voi.

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