Contratti di apprendistato, meno della metà diventa lavoro stabile. Cisl: «Serve una riforma sostanziale»
Dal 2018 al 2022 sono aumentati, ma l'anno scorso sono diminuiti. Molti scadono senza che ci sia alla fine l'assunzione

«L'apprendistato serve a dare a un giovane la possibilità di imparare un mestiere. Dovrebbe rappresentare il suo principale canale di ingresso nel mondo produttivo, con un successivo contratto a tempo indeterminato. Ma troppo spesso la verità è un’altra».
I numeri nella Bergamasca
Così Danilo Mazzola, segretario Cisl di Bergamo, ha stigmatizzato quanto uscito dai dati forniti dall’osservatorio provinciale del mercato, riferiti al numero di contratti in apprendistato stipulati dalle aziende della provincia al 6 febbraio 2024. Dal 2018 al 2022, pur evidenziando un situazione di crescita (a parte il 2020) dei contratti di instaurati, ne rilevano infatti la scarsa efficacia in termini di successiva stabilità: alla scadenza, meno di un giovane su due si vede confermare il posto.
In provincia di Bergamo, il trend di contratti di apprendistato va dai 7.436 del 2018 agli 8.616 del 2022 (+16 per cento), segnando una diminuzione nel 2023 rispetto al 2022 del 6 per cento (8.122 contratti stipulati). Per i contratti di apprendistato stipulati dal 2018 al 2020 mediamente, ad oggi, il 56 per cento non sono più attivi (cessati o licenziati), con una conferma degli stessi a tempo indeterminato pari quindi al 44 per cento.
Strumento poco valorizzato
Nell’attuale triennio (2021-2023), risulta ancora attivo il 67 per cento degli avvii in apprendistato, «ma è più facilmente ipotizzabile che in maggioranza i contratti siano ancora sotto quella forma e non di occupazioni stabilizzate - ha continuato Mazzola - . Il suo utilizzo purtroppo è poco radicato, se rapportiamo gli 8.616 rapporti di questo tipo attivati agli oltre 336mila dipendenti bergamaschi nel 2022, ovvero solo il 2,5 per cento».
Il rapporto di lavoro in apprendistato garantisce, se pur in forma ridotta per i primi anni, un salario definito dai Contratti collettivi nazionali, andando a crescere fino all’inquadramento definitivo e ad acquisizione della qualifica. «È uno strumento che andrebbe valorizzato maggiormente e va incontro alle esigenze delle aziende, con importanti sgravi contributivi. Stabilisce garanzie salariali e normative a tutela dei lavoratori ed andrebbe ulteriormente valorizzato, in sintonia con i percorsi formativi che i nostri istituti professionali stanno mettendo in campo».