Pietro Bianchi: «Ecco i miei film da rivivere»
L’avvocato civilista bergamasco ha presentato il suo quarto libro dedicato al cinema
Di Fabio Santini
Avvocato civilista, lo studio in via Pradello, collaboratore della rivista “Città dei Mille”: il suo è un amore smodato per la Settima Arte. Pietro Bianchi è al suo quarto libro: “Film da rivedere, da riscoprire, da riassaporare”, edito da Lubrina Bramani (incasso interamente devoluto all’Associazione San Paolo in Bianco), presentato qualche sera fa al cineteatro Lottagono di Piazza San Paolo.
Avvocato, la sua prima volta davanti al grande schermo.
«A otto anni. Mi infilai in una sala. Davano “007-Mission Goldfinger”. Lo rividi ininterrottamente altre tre volte. Ma già ero stato baciato dal sacro fuoco per il grande schermo. Ricordo a Natale dai miei nonni a Caravaggio, davanti alla tv rapito dai film di John Ford, dalle storie degli eroi semplici di Frank Capra, dall’eleganza di Cary Grant. O in estate in qualche arena all’aperto rivedere chissà quante volte la trilogia del dollaro di Leone».
E poi?
«A 15 anni ho incominciato ad annotare le mie impressioni sui film che vedevo. Spesso anche di cattiva qualità. Quei diari li ho ritrovati proprio poco tempo fa dentro uno scatolone».
Leone diceva: la vita è cinema…
«E Hitchcock aggiungeva: un film è la vita a cui sono state tagliate le parti noiose. Di film noiosi ne ho visti, ma oggi so scegliere quelli che colpiscono la mia coscienza, le stanze segrete della mia anima».
Ci guidi alla scoperta del libro.
«È un viaggio in una settantina di titoli che parte dai grandi classici della commedia americana degli Anni ‘30-‘40, dalle stagioni più luminose della commedia italiana al meglio del nostro cinema, ai film contro i razzismi e le intolleranze, fino ai titoli più significativi del 21° secolo. Come se le piccole storie quotidiane siano lo specchio dei grandi mutamenti della Storia».
Lei definisce il cinema come una sorta di medicina.
«Ti cura per farti trovare il benessere spirituale e cognitivo. Nel mio caso ha forgiato il mio carattere, il mio modo di giudicare fatti e persone, la mia sensibilità di uomo».
Tornatore ha detto: il cinema vissuto in una sala cinematografica è un territorio d’educazione.
«Perché è lì che lo spettatore si immerge con la giusta concentrazione nella storia, non è distratto da ciò che gli accade attorno e condivide quell’esperienza con altri».
Lei che cinema ama?
«Quello che ti fa emozionare, la cui vicenda ti coinvolge, quello con il giusto rapporto tra immagine, dialoghi e musica».
Qualche titolo.
«“C’era una volta il West” di Leone con la musica di Morricone, “Anonimo veneziano” o “Nuovo Cinema Paradiso”. Senza contare altri titoli come “Quarto potere” di Orson Welles, “Crimini e misfatti” di Woody Allen, “Una giornata particolare’ di Ettore Scola”».
Parliamo di Bergamo, città di cinema e del cinema.
«Già, Leone diceva che il festival del cinema della nostra città era secondo solo a quello di Venezia. Purtroppo proprio in questi giorni registriamo la chiusura dell’Uci Cinemas di Curno ma anche il rilancio del cinema Teatro L’ottagono in Piazza San Paolo».
La tv ha spiazzato la funzione del cinema?
«In qualche misura sì. Ci consola pensare che vi siano personaggi come Clint Eastwood che alla tenera età di 94 anni ha girato il bellissimo “Giurato Numero 2”. E che ha ancora voglia di stare sul set. È un messaggio forte il suo: il cinema non morirà mai».