I tempi cambiano

Pregi e difetti dello smart working nel post pandemia (i datori sono preoccupati...)

Nato come necessità durante il Covid, il lavoro agile è oggi una modalità che piace ai lavoratori e che ha messo le aziende davanti a nuove sfide

Pregi e difetti dello smart working nel post pandemia (i datori sono preoccupati...)
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Iniziative molto apprezzate dai dipendenti sono legate alla flessibilità negli orari di entrata e di uscita dal posto di lavoro, perché consentono agli stessi di ottimizzare i tempi per raggiungere il luogo di lavoro minimizzando, così, le difficoltà legate al tragitto casa-lavoro, ma anche di conciliare le esigenze personali.

I cambiamenti del mercato del lavoro - dovuti non soltanto al mutamento della società e delle famiglie, ma anche e soprattutto dalla forte innovazione tecnologica - hanno fatto da apripista alla creazione di una nuova modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato: il lavoro agile, meglio conosciuto come smart working. Lo Stato e le Parti Sociali hanno trovato nel lavoro agile uno strumento per contemperare esigenze lavorative e personali del dipendente, il quale può tranquillamente lavorare con il proprio notebook in qualunque luogo ritenuto opportuno, con l’unica indispensabile condizioni che esso sia supportato dall’accesso alla rete, creando al tempo stesso un vantaggio per l’azienda in termini di produttività e riduzione dei costi.

Il nostro sistema di policy ha scommesso sul lavoro a distanza perché ritenuto uno strumento idoneo a far fronte, oltre che alla pandemia da Covid-19 negli anni 2020-2022, alle mutate esigenze sociali in modo da bilanciare aspettative professionali e di vita.

Si tratta di una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa fondata sulla concessione di una maggiore flessibilità e autonomia del lavoratore nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti di lavoro e che dà centralità ai risultati delle prestazioni e non più al tempo. L’orario di lavoro, in tale prospettiva, perde la capacità di misurare la quantità di lavoro prestato, cosicché ancor di più si impongono sistemi di coordinamento e controllo fondati su obiettivi e risultati. Nella sostanza, si tratta di uno strumento che introduce degli elementi di flessibilità nell’esecuzione della prestazione senza, però, intaccare la causa del contratto.

L’offerta di tale misura è subordinata alla stipula, in forma scritta ai fini probatori, di un accordo individuale al cui interno sono specificati i requisiti essenziali entro cui la prestazione lavorativa può essere svolta - parzialmente - all’esterno dei locali aziendali, attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici. In tale contesto, però, si fa spazio il dibattito circa la delocalizzazione del lavoro, con preoccupazione non indifferenti per le aziende. La diffusione massiccia del lavoro agile, infatti, ha palesato numerose metamorfosi tanto nell’esperienza lavorativa del lavoratore, quanto in quella organizzativa dell’impresa. Un modello agile di organizzazione del lavoro offre certamente numerosi vantaggi; tuttavia, diverse sono le sfide che le aziende hanno dovuto affrontare, e che tutt’oggi affrontano, in termini di produttività e sviluppo di relazione interpersonali. Senza poi dimenticare i risvolti che lavoro agile ha nella vita lavorativa del lavoratore.

La crescente digitalizzazione rende necessario un ripensamento del concetto di salute sulla base dei rischi cui vanno in contro gli “smart worker”: disordini psico-sociali, stress, aumento dei comportamenti auto-prescrittivi e allontanamento dalla realtà. Tuttavia, al netto di tali conseguenze, in linea generale il lavoro agile è una pratica molto apprezzata dai lavoratori, tanto che la concessione o meno di tale beneficio è diventato un metro di valutazione delle opportunità lavorative. La gran parte dei lavoratori, infatti, non è disposta ad accettare opportunità di lavoro presso aziende non inclini a concedere almeno una giornata di smart working alla settimana e, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il 73 per cento degli smart worker che si avvalgono del lavoro agile si opporrebbe se la propria azienda eliminasse questa forma di flessibilità. Nello specifico, il 27 per cento penserebbe seriamente di cambiare lavoro, il 46 per cento si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Sempre secondo i lavoratori, per cercare di compensare almeno in parte la mancata possibilità di lavorare da remoto, l’azienda dovrebbe offrire una maggiore flessibilità oraria o aumentare lo stipendio di almeno il 20 per cento.

Nell’ultimo anno, venuta meno la spinta emergenziale, si è registrato sia lo stop al lavoro agile per i lavoratori fragili e lavoratori di minori con meno di 14 anni, previsto fino al 31 marzo 2024, sia il graduale rientro in presenza dei dipendenti presso grandi multinazionali che, al netto di alcune considerazioni di stampo organizzativo ed economico, hanno fatto un dietrofront rispetto alla decisione di concedere ai propri dipendenti la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in maniera flessibile. Uno scenario caratterizzato da importanti tensioni nel mercato del lavoro, in cui la classe dirigente al timone delle aziende esprime preoccupazione per la produttività dei dipendenti in modalità di lavoro ibrida o remota.

Nonostante gli indubbi vantaggi, persiste ancora un elevato scetticismo sul reale valore dello smart working: i leader aziendali ritengono che il ritorno in ufficio sia essenziale per mantenere la cultura aziendale e la collaborazione tra i team. Superato il modello di lavoro agile tarato sull’emergenza epidemiologica, infatti, le aziende oggi si trovano a far i conti con alcune criticità legate in particolar modo alle basse competenze digitali dei lavoratori italiani, ma anche agli scarsi mezzi tecnologici messi a disposizione delle aziende. Al tramonto della crisi sanitaria, di fatto, particolarmente delicata è stata la fase di inserimento delle nuove risorse in azienda in un contesto lavorativo da remoto, specie per quei lavoratori i cui contratti prevedono l’affiancamento di figure senior. La sfida di oggi, dunque, è quella di tracciare un modello di smart working adatto alla singola realtà aziendale, superando quelle criticità dovute all’applicazione estrema e improvvisata dello smart working durante i mesi dell’emergenza, senza però disperderne la preziosa testimonianza che ha lasciato.

Commenti
Francesco

Alcune aziende hanno riorganizzato gli spazi e le strutture prevedendo una quota di dipendenti in smart working. Tornare tutti in ufficio sarebbe problematico anche proprio per trovare una scrivania libera. Inoltre lo smart working permette un notevole risparmio per il lavoratore ed è a costo zero per le imprese, anzi. Lo smart working permette di risparmiare sugli affitti e andatelo a chiedere ai dipendenti a Milano o Roma quanto risparmiano. Se dovessero toglierlo senza un notevole aumento di stipendio anche io cambierei lavoro immediatamente.

Francesco Giuseppe

Questa gente è fuori dalla realtà della vita, come i loro figli che credono di vivere, perchè guardano pc, cellulari e video giochi, che gli mostrano la vita finta degli altri. Pensino che i pc li costruiscono fisicamente altri uomini; ciò che mangiano è prodotto da agricoltori, allevatori, aziende alimentari, panettieri, ecc. Il bagno di casa dove usano i pc, lo ripara un idraulico, la corrente la porta un elettricista, ecc. Tutte queste persone lavorano fisicamente con fatica per far funzionare rutti ciò che loro sfruttano. Meno presunzione di superiorità e più rispetto delle aziende, altro che cambiare lavoro se non c'è il lavoro agile per le loro esigenze.

Gabriele

Penso che lo smartworking sia qualcosa dal quale ormai non si possa più tornare indietro. Chi lo usa lo apprezza e non è disposto a rinunciarci. Personalmente non sopporto più di andare in ufficio... Troppo rumore, troppo casino, tempo sprecato per andare e tornare, soldi spesi per il trasporto e mangiare. Se dovessero propormi di tornare in full presenza, cercherei sicuramente un nuovo lavoro.

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