Liberia, da 44 giorni non c'è Ebola Come il Paese ha battuto il virus
In Liberia la gente fa festa: non è più "emergenza Ebola". L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha abbassato ancora i livelli di guardia poiché sono 44 giorni che non si registrano casi di contagio: un tempo pari al doppio del periodo massimo di incubazione. L’ultimo morto è stato seppellito il 28 marzo 2015.
La Liberia ha pagato il prezzo più alto. La Liberia è il Paese che è stato maggiormente colpito dal virus, con oltre 4716 morti, su quasi 11mila contagiati. In tutta la regione si erano ammalate 26mila persone: mai nella storia del virus si era registrato un picco così alto di infezioni. Un’epidemia favorita anche dalla mancanza di preparazione negli ospedali: quando esplose c’erano solo 51 medici per una popolazione di 4,5 milioni di persone. Mancavano anche le più basilari norme di protezione, persino i guanti. Quando il virus ha cominciato a diffondersi, il già fragile sistema sanitario è stato messo a dura prova. Anche i posti letto sono andati esauriti e i pazienti si sono trovati ammassati nelle corsie degli ospedali: alcuni, addirittura, sono morti agonizzando sul pavimento.
Le conseguenze del virus. Nel periodo di massima diffusione del virus, tra agosto e settembre dello scorso anno, si registravano fino a 400 casi di contagio a settimana. I bambini rimasti senza genitori a causa del virus sono 7500. Anche se l’incubo è finito, Ebola ha lasciato in eredità una situazione di difficile gestione per via dell’impatto sociale determinato da un numero così alto di orfani, che finiscono per diventare nella maggior parte dei casi bambini di strada. Inoltre sono state pesanti le conseguenze del virus anche sul piano economico: nel periodo di massima diffusione del virus sono stati chiusi gli accessi al Paese, cancellati voli, l’industria alimentare e quella estrattiva sono andate a rilento, le scuole hanno bloccato le lezioni.
Come è stato possibile vincere. Un Paese allo sfascio, dove però la determinazione del governo e della popolazione locale per combattere la malattia hanno vinto sulla disperazione. I pochi medici e infermieri hanno continuato a curare i malati anche in situazioni difficili, quando l’attrezzatura protettiva e la formazione non erano sufficientemente adeguate. Complessivamente, 375 operatori sanitari sono stati colpiti da Ebola e di questi 189 hanno perso la vita. Non solo gli operatori sanitari, ma anche i volontari, i conducenti delle ambulanze, gli assistenti nei centri di cura e nel settore dei servizi funebri hanno mostrato un forte senso del dovere e di responsabilità patriottica, come riferisce l’Oms, determinati dalla volontà di porre fine all’epidemia. Non è mancata, inoltre, l’assistenza internazionale che ha contribuito all’azione per eliminare la diffusione della malattia.
I picchi ad agosto, a ottobre il calo. Il Ministero della Salute, insieme al Social Welfare dell’Oms, ha costruito una nuova clinica per la cura dei pazienti, in seguito sono stati costruiti altri due centri, con un aumento di altri 400 posti letto, e le restanti necessità di spazio per i pazienti sono state soddisfatte da diversi partner. Dai picchi di agosto l’epidemia verso la fine di ottobre 2014 ha iniziato a diminuire grazie a questi provvedimenti. I tassi di sopravvivenza sono aumentati, per arrivare allo stop dei contagi. L’Oms, nel proclamare la Liberia Paese “Ebola free” spiegato che per la Presidente liberiana Ellen Johnson Sirleaf il virus ha rappresentato «una minaccia al tessuto sociale ed economico» del Paese. Inoltre, ha valorizzato la rapidità degli operatori sanitari e dei loro partner nell'accettare il coinvolgimento delle comunità nella lotta al virus. È stato fatto un vero e proprio lavoro di sensibilizzazione nei confronti della popolazione, per registrare e monitorare casi sospetti, oltre a richiedere supporto medico in caso di necessità. Per supportare il Paese a livello logistico ed economico si è mossa anche la comunità internazionale, con le organizzazioni non governative che hanno svolto un prezioso lavoro sul campo, allestendo ospedali e centri di cura. Anche la Chiesa ha educato le persone alla prevenzione. In particolare le parrocchie hanno avuto un ruolo importante nell’insegnare come impedire la diffusione del virus.
La situazione nei Paesi vicini e l’invito alla prudenza. Mentre la Liberia festeggia la fine di un incubo, l’allerta rimane alta nel Paesi vicini. In particolare in Guinea e Sierra Leone, dove Ebola continua a fare vittime, anche se l’incidenza del virus è ai livelli più bassi dell’ultimo anno. Per questo Medici Senza Frontiere, la ong che più di tutte opera e fornisce assistenza nel Paese avendo aperto il più grande centro al mondo per il trattamento del virus, invita a non abbassare la guardia in tema di precauzione. In un comunicato il capo missione di MSF in Liberia afferma che il Paese potrà dichiararsi davvero libero quando anche i suoi confinanti registreranno un analogo periodo senza contagi: «Il governo e la popolazione liberiani hanno lavorato sodo per aiutarci a raggiungere 42 giorni di zero casi Ebola, ma è un risultato che potrebbe cancellarsi in un istante». Di qui la necessità di migliorare il controllo lungo le frontiere per prevenire che l’Ebola torni a mietere contagi.
Un uomo positivo dopo 6 mesi. Un invito alla prudenza al quale si unisce la stessa Oms, sottolineando anche il rischio di rapporti sessuali non protetti. Si è verificato un caso, infatti, di un uomo risultato positivo al virus, anche sei mesi dopo la dichiarata guarigione. L’Oms ha comunicato che continuerà ad essere presente nel Paese con uno staff specializzato fino alla fine del 2015, per proseguire la sua azione volta al monitoraggio della situazione nella fase post-epidemica, nel controllo di potenziali casi importati e nel ripristino di servizi sanitari essenziali.