Le rivelazioni del serial killer che voleva uccidere Ibrahimovic

È il 20 aprile 2005 e in un inconsueto turno infrasettimanale di campionato al Delle Alpi di Torino si sta giocando il “derby d’Italia”: l’Inter di Mancini fa visita alla Juventus capolista di Capello. Il match termina 0-1 per i nerazzurri che portano via 3 punti da Torino con la “solita” firma del Jardinero Julio Ricardo Cruz. Ma non è la gara a destare interesse, bensì il rodeo che si scatena tra Sinisa Mihajlovic, esperto difensore interista, e Zlatan Ibrahimovic, pennellone svedese in forza alla Juve. I due danno vita ad uno scontro maschio fatto di colpi scorretti e insulti verbali, non visti dall’arbitro, a seguito dei quali il bomber bianconero verrà squalificato per tre giornate grazie alla prova televisiva. Una vera e propria battaglia sul campo e proseguita negli spogliatoi, combattuta da due giocatori che la nazionalità vorrebbe così lontani eppure, proprio per l’anagrafe, estremamente vicini. Vukovar, infatti, cittadina serba (oggi croata), dove nacque Sinisa e Bijeljina, paesino bosniaco da cui emigrò papà Ibrahimovic, distano appena poco più di due ore di macchina.
«Ora rientri e segni». Tre anni dopo Mihajlovic e Ibrahimovic si trovarono dalla stessa parte. Sinisa era diventato allenatore in seconda di Mancini, mentre Ibra, passato dalla Juve all'Inter era la punta di diamante della squadra nerazzurra. Non passò molto tempo e il sangue slavo di entrambi divenne motivo di reciproco orgoglio. Durante un derby di Milano l’attaccante accusò un dolore, si avvicinò alla panchina e chiese la sostituzione. Sinisa gli ricordò le sue origini: «Ma c… Ibra! Non sei italiano, sei slavo! Vieni dai Balcani, hai le palle, non puoi uscire così. Ora torni in campo e segni!». Detto, fatto. Zlatan rientrò e segnò.
Il caso. Nel 2011 in Svezia è tempo di best-seller: esce Jag är Zlatan, l’autobiografia del capitano della nazionale scandinava, scritta assieme a David Lagercrantz. In patria il libro, che in Italia viene tradotto con il titolo Io, Ibra, vende mezzo milione di copie e le prenotazioni superano addirittura quelle registrate per la serie di Harry Potter. Nelle pagine in cui Zlatan si racconta emergono, tra le tante vicende calcistiche, il suo amore per la città natale, Malmoe, e la passione ossessiva per le belle macchine, che Ibra inizia a collezionare fin dai tempi dell’Ajax.
Il serial killer di Malmoe. Di tutti gli svedesi che impazziscono per lui, ce n'è però uno che non sopporta le sue origini e di sicuro non vanta nella sua libreria il libro che ha conquistato un nazione intera. Si chiama Peter Mangs ed è un serial killer che oggi ha 43 anni. Mangs è stato condannato nel 2013 per l’omicidio di due persone e il tentato omicidio di altre otto, anche se in realtà i capi di accusa imputati durante il processo, iniziato il 14 maggio 2012 a Malmoe, riguardavano tre omicidi e 12 tentativi. Il killer, ritenuto da una perizia psichiatrica sano di mente e consapevole delle azioni effettuate, ha colpito tra il 2009 e la fine del 2010 tutte persone immigrate in Svezia (nonostante un episodio risalga al 2003).
La Ferrari parcheggiata male. In quel periodo, nonostante non stesse attraversando il miglior momento sportivo della carriera con il Barcellona di Guardiola, Ibrahimovic era di fatto lo sport svedese: capitano della nazionale - che però fallì la qualificazione ai Mondiali del 2010 - e suo bomber principe. Ebbene, durante una delle consuete sortite a Malmoe, il calciatore lasciò la sua Ferrari parcheggiata in maniera poco ortodossa su un marciapiede e proprio in quel momento strava transitando Mangs. Realizzato che la vettura apparteneva al campione, il killer corse a casa a prendere la pistola. Voleva uccidere Zlatan, figlio di immigrati, anche perché quel parcheggio vietato era proprio la cosa che lui non riusciva a sopportare perché rifletteva un «tipico atteggiamento balcanico», come scrive nelle sue memorie. Tornato con la pistola, però, la vettura del campione non c’era più.
https://youtu.be/TvDHtqro1Hg
Gli immigrati in Svezia. Nel Paese scandinavo da qualche anno sta ottenendo consensi il partito Sverigedemokraterna, i Democratici svedesi, che si attestano sul 10 percento e, mossi dalla crisi occupazionale, stanno spingendo per ridurre drasticamente l’ingresso agli immigrati, considerando che ad oggi questi ultimi sono circa il 18 percento di una popolazione di quasi 10 milioni di abitanti. Di recente sono arrivati circa 100mila stranieri all’anno a chiedere asilo in quelle che è a sempre la “terra dell’accoglienza” (solo nel 2014 furono 81300, e per quest’anno ne sono attesi circa 105000). Ora però la Svezia sta facendo fatica ad integrare i nuovi profughi principalmente per problemi di carattere occupazionale. Il Ministero del Lavoro svedese offre dei corsi di formazione di due anni per aiutare a cercare lavoro agli immigrati che hanno ottenuto il diritto d’asilo, ma circa un quarto di essi non vi riesce. In questo contesto sono aumentati anche i malumori tra gli svedesi, principalmente legati alla concorrenza professionale nella “corsa al posto di lavoro”, e i Democratici svedesi così hanno avanzato la proposta di ridurre del 90 percento la presenza di immigrati sul territorio.