"Quelli della notte", 30 anni dopo L'esilarante jazz della parola
Sabato sera, per chiudere in bellezza l’anno di Che fuori tempo che fa, Fabio Fazio ha invitato Renzo Arbore e insieme hanno celebrato i 30 anni di Quelli della Notte. C’erano anche Nino Frassica e Maurizio Ferrini. Oltre a Gramellini, che però faceva un po’ fatica - si vedeva benissimo - a tener dietro al non senso. Non dev’essere nelle sue corde.
Il Fatto Quotidiano riassume sia la storia della trasmissione originale sia la puntata di Fazio. Ovviamente elogiando sia il passato remoto che quello prossimo. E giustamente. Quelli della notte fu una esperienza improvvisa, del tutto inattesa. Andata in onda in una fascia oraria che allora non esisteva - la seconda serata - faceva ridere in un modo assolutamente nuovo e impensato. La prima settimana lasciò tutti stupiti, quasi increduli. Poi, a forza di parlarne coi colleghi d’ufficio la mattina dopo, la seconda settimana fece, come si dice, il botto. C’erano dei personaggi che non si capiva da dove fossero usciti e che cosa stessero dicendo o facendo; gente che chi sa dove erano andati a prenderla: ma comunque era impossibile starli a sentire restando seri. Meno ancora si riusciva a capire come facessero loro a rimanere impassibili mentre conducevano dibattiti totalmente strampalati, davano notizie prive di qualsiasi coerenza interna, avanzavano proposte politiche fin troppo condivise per risultare verosimili. E noi, tutti a ridere.
https://youtu.be/jnCmlEM3iuE
Trattandosi di trentennale della vittoria, sabato sera non è stato possibile evitare né l’aspetto promozionale della presenza di Arbore (che sarà in giro per l’Italia con la sua orchestra nei prossimi mesi) né una vena autocelebrativa e di commento che forse, con un po’ di coraggio in più, poteva esserci risparmiata. Ma va bene lo stesso. C’erano lì due signori - Frassica e Ferrini - che nei momenti in cui si sono lasciati andare ci hanno fatto davvero tornare ai bei tempi. Il primo, riandando al gossip allora assai vivace sulle vicende dei Matia Bazar, se n’è uscito con un “Il fu Matia Bazar” che dev’essergli nato proprio sul momento e che ha costretto tutti a perdere di vista il copione e a dirgli bravo, bravo. Il secondo, l’ultimo comunista della riviera romagnola, al tempo ideologo e cantore dei pedalò, quando ha raccontato della fede moscovita di suo padre e del modo maniacale con cui si rapportava alle medicine e ad altre occasioni della vita quotidiana si è dimostrato ancora una volta irresistibile. Con lui presente anche l’inno dell’URSS assume una comicità che nessuno gli riconoscerebbe né sulla Piazza Rossa né alle Olimpiadi.
E questo modo di comportarsi ha fatto capire ancor meglio in cosa consistesse il fascino di quella trasmissione: nel fatto che quelli che erano lì non stavano, in realtà, inventando niente. Erano semplicemente loro stessi, con le loro storie, col loro modo di rapportarsi al loro tempo. Erano dei sé stessi di una qualità strana e particolare, questo è il fatto. L’unico genio autonomo della trasmissione originale - cioè l’unico autore in grado di pensare un testo formalmente organizzato - era il compianto Riccardo Pazzaglia, autore e personaggio radiofonico che la Rai ha purtroppo sempre sottovalutato e che col suo quasi non apparire in quella manica di matti permetteva a tutti gli altri di esplodere. Arbore ha fatto benissimo a ricordarlo come un genio assoluto.
Ripensando a questo fatto - e a quello che lo stesso Arbore ha voluto riprendere parlando del momento sorgivo, dell’aspetto generativo della trasmissione: il desiderio di realizzare una jam session della parola, un momento di jazz non musicale - veniva in mente un episodio occorso a Maurice Ravel, il grande musicista francese che, negli Stati Uniti per un giro di rappresentazioni di Carmen, si trovò una sera ad assistere, appunto, a una seduta di jazz in un locale qualsiasi di New Orleans. Entusiasta di quel che stava sentendo confidò all’amico che gli sedeva accanto il desiderio di scrivere una cosa che potesse riprodurre quel clima musicale. L’amico lo freddò subito nei suoi entusiasmi facendogli notare che nessuno strumentista francese, nemmeno dei più bravi e celebrati, sarebbe stato in grado di suonare come quei quei quattro o cinque sconosciuti che gli avevano fatto venire in mente l’idea.
Quelli della notte è stata un evento analogo: gente che ha suonato come sapeva, come gli veniva - fuori da qualunque standard di concorso. E così, quando Fazio ha chiesto ad Arbore come mai la trasmissione fosse durata così poco - da aprile a giugno - l’interpellato ha risposto l’unica cosa che vorremmo sempre sentirci rispondere da un artista: perché avevamo detto tutto quel che avevamo da dire. Perfetto.
https://youtu.be/OaGPzjo-OC0