La Antonelli, che merita un ricordo migliore di quel che ha avuto

Laura Antonelli è morta. Viene in mente un catafalco in pietra con tanto di iscrizione musiva in oro eretto a mo’ di oraziano exegi monumentum nel cimitero del Verano, a Roma. È la tomba, in uno stile eclettico tra Celeste Aida e Tripoli, bel suol d’amore, di «Stella Bonheur - Nata a New York - Morta a Fiano Romano». Mai carriera di donna del varietà fu descritta in maniera altrettanto tragica.
Forse solo la parabola di Laura Antonelli potrebbe starle a pari: nata a Pola - morta a Ladispoli. A Pola come Alida Valli, ma venti anni dopo, nel 1941; a Ladispoli come il ragazzo di cui si sta occupando Chi l’ha visto. Perché Ladispoli non è un posto qualunque. Qualche cinefilo ricorderà la faccia oltraggiata con cui - nel film Caterina va in città - la mamma del giovane violoncellista (Marina Ripa di Meana, in veste di signora della Roma bene) ascolta la ragazza del figlio (Caterina appunto, trasferitasi nell’Urbe da Montalto di Castro) ammettere che quel nome («Oh, Caterina, che bel nome!») lo aveva voluto il padre, mentre la madre ne avrebbe desiderato un altro - tipo Deborah, anzi Debborah - preso da una serie televisiva. Una faccia che la cancella dal novero degli umani e addensa nubi minacciose sulla testa del ragazzo, cui sarà recisamente vietato di frequentarla ulteriormente.
Laura Antonelli è morta in un posto il cui solo nome è una vergogna. Mi ci aveva invitato - anni fa - un mio compagno con genitori assai colti ma socialmente incauti. Quando lo seppero i miei zii con villa a Sabaudia (ci capiamo: Moravia, Pasolini, …) se non mi ripudiarono fu solo perché compresero che, come i soldati del Golgota, non ero a conoscenza del crimine.
Lei è morta lì. E nella zona peggiore, delle baracche o quasi: che non è nemmeno un posto sulla terra. Può essere rinvenuta solo ricorrendo all’uso della quarta dimensione, quella dei disperati e dei reietti.
E dire che era bella, anzi bellissima, Laura Antonaz, professoressa di educazione fisica prima di diventare attrice. Di fotoromanzi, di Caroselli e infine di cinema.
La prima apparizione fu in Il magnifico cornuto di Antonio Pietrangeli del 1964. Nel 1965 vennero Le sedicenni di Luigi Petrini. Quando sono indicate le età di femmine al di sotto dei venti anni si capisce subito cosa c’è in ballo. Però fino a questo momento Laura non recitava nel senso pieno del termine. Stava solo lì a mostrare quanto possa essere interessante la vita per certi spettatori a corto di altre opportunità.
L’occasione per un salto di qualità venne con Venere in pelliccia, film ispirato al romanzo di Leopold von Sacher-Masoch (non c’è bisogno di spiegare niente, ci sembra). Ma intervenne la censura e la pellicola dovette attendere sei anni per uscire nelle sale col titolo pruriginoso di Le malizie di Venere. Il botto di popolarità arrivò nel 1971, col film Il merlo maschio, con Lando Buzzanca e diretto da Pasquale Festa Campanile. Nelle pubblicità l’Antonelli, seduta nuda e di schiena, alludeva al famoso Violon d’Ingres di Man Ray. Musica per gli occhi dei giovani e meno giovani d’allora.
https://youtu.be/cVs1ldVrA1U
Che suonò imperiosa come la Sonata a Kreutzer (il tedesco serve solo a dar enfasi; Beethoven non c’entra niente) nel 1973 quando l’ex sedicenne interpretò il ruolo di una cameriera usa a salir le scale per cambiar di posto alla biancheria in Malizia di Salvatore Samperi - accanto a Turi Ferro, celebre interprete pirandelliano e ad Alessandro Momo, che sembrava recitarvi piuttosto la parte del giovane Törless nel romanzo di Musil che ne riferisce i (profondi) turbamenti di adolescente.
6 miliardi di lire di incassi delineano in maniera assai efficace il tasso di assatanamento del pubblico maschile di allora. Ma anche delle giurie più prestigiose, se con quel film la straordinaria colf ottenne il Nastro d'Argento quale migliore attrice protagonista, conferitole dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani e il Globo d'oro alla miglior attrice rivelazione, premio della stampa estera.
Nel film Scoprendo Forrester, Sean Connery spiega in modo molto efficace al giovane allievo a cosa servono le premiazioni: a cercare un partner per la notte (è la versione casta dell’unico verbo usato nel film all’infinito con funzione finale). Dunque: Attrice rivelazione. Nei dintorni dell’occasione però lei si lasciò sfuggire un celeberrimo: «Sono bassina, un po' tondetta e ho le gambe piuttosto corte: chissà perché piaccio?» che rievocava il ritornello di quella canzone del carnevale di Rio dedicata a BB in cui il cantante si chiede se saranno il viso o le braccia di lei a provocare tanto smarrimento e il coretto risponde «No è, no è». Chissà cos’altro sarà, si domandò attonito il mondo nell’occasione.
Sta di fatto che l’Antonelli era ormai lanciata al punto che fu chiamata a interpretare Trappola per un lupo di Claude Chabrol, francese di quelli che nemmeno il Nobel - figuriamoci l’Oscar - sarebbe abbastanza per loro. Comunque la trappola, in effetti, scattò, perché sul set recitava anche Jean-Paul Belmondo e fra i due nacque una storia che probabilmente era meglio se non fosse mai nata. L’Antonelli non si riprese mai. Vennero, certo, anche altri film prestigiosi, ma se si ricorda che in Divina creatura di Giuseppe Patroni Griffi la scena di nudo integrale che la vide protagonista durava sette minuti filati d’orologio si capisce quale fosse la principale ragione delle sue convocazioni. E lei lo sapeva meglio di chiunque altro. E si portò dietro lo sconforto anche quando lavorò per Visconti, Bolognini e Scola. E tanti altri. E fermiamoci qui. Ladispoli incombe.
Il 27 aprile 1991, nella sua villa di Cerveteri, i carabinieri, inviati da chissà chi, trovano 36 grammi di cocaina (una tonnellata, nel sistema metrico giudiziario italiano) la bella Laura viene mandata a Rebibbia e poi ai domiciliari: in primo grado viene comunque condannata a tre anni e sei mesi per spaccio. Aggiungici Belmondo, e altro che spalle da scaricatore ci sarebbero volute. Nove anni dopo (nove anni dopo) verrà assolta dalla Corte d'appello di Roma, che la riconoscerà consumatrice abituale di stupefacenti, ma non spacciatrice. L’uso di sostanze, nel frattempo, non è più considerato reato, l’imputata è assolta. Ma lei è ormai distrutta, perché per tutti questi anni non ha potuto lavorare. E nemmeno stare con se stessa per la vergogna. Che non è fra le pene previste dalla legge, però fa più male di quelle.
Poi un errore di chirurgia estetica che le sfigura il volto, la depressione assillante. E Ladispoli.
A coloro che avrebbero voluto darle una mano rispondeva invariabilmente che la sola cosa che desiderava era l’oblio. Se scorgeva di lontano una cinepresa o una macchina fotografica tirava la tenda del terrazzo. Stamattina la badante l’ha trovata a terra, forse colpita da infarto. È un peccato che sia andata a finire così. Ed è un peccato anche che una pubblicità su non ricordo più quale vernice abbia usato per anni l’eco della famosa scena della scala in Malizia per suscitare non si sa bene quale prurito nei destinatari. Non se lo meritava, un ricordo così.