Perché l'Aci di Bergamo è stato commissariato
L'Automobile Club di Bergamo, con 25.000 soci, ė il settimo a livello nazionale. Dopo due bilanci chiusi con consistenti perdite - nel 2011 il saldo negativo è stato di 380 mila euro e nel 2012 di 355 mila euro - il Club bergamasco è stato sottoposto a commissariamento. A prevedere questa procedura è l'articolo 65 dello statuto dell’ente, in ottemperanza anche a quanto stabilito da una circolare ministeriale che così recita: “Con una situazione di disavanzo per due esercizi consecutivi, i relativi organi, ad eccezione del collegio dei revisori, decadono ed ė nominato un commissario”.
Il 7 maggio 2014, il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, da cui dipende l'Automobile Club Italiano, ha quindi disposto il commissariamento dell'Aci di Bergamo, nominando commissario Aurelio Filippi Filippi, presidente dell'Aci di Lecce, nonostante il 2013 si sia chiuso con un attivo di 38 mila euro (circa 65 mila sono però frutto di un’operazione di vendita delle azioni Aci). Il periodo di commissariamento è stabilito in dodici mesi, ed ė rinnovabile al massimo per altri sei. Con l’arrivo del Commissario, sono stati sollevati dal loro incarico il presidente Ivan Rodeschini, subentrato un anno fa all’avvocato Mario Caffi, e i consiglieri Mario Ratti, Mario Mazzoleni e Roberto Margiotta. Nomi di primo piano dell’imprenditoria bergamasca.
I rilievi dell'Aci nazionale parlano di «un consistente scostamento dei ricavi e dei costi rispetto alle stime previste nel budget». Come mai Bergamo, che solitamente primeggia nella gestione di aziende, enti e amministrazioni, si è venuta a trovare in questa situazione? Perché presidente e consiglieri non hanno attuato le politiche correttive che avrebbero consentito al Club bergamasco di evitare il commissariamento? Rodeschini dichiara di non essere autorizzato a rilasciare dichiarazioni al riguardo. Qualche spiegazione sulle cause la offre invece Filippi Filippi, che ha richiesto per i prossimi giorni un incontro con il Consiglio di amministrazione.
«Non credo si tratti di un caso di mala gestione o di cattiva amministrazione», sostiene. «I problemi sono piuttosto legati alla presenza di costi poco flessibili. Gli introiti dell’Automobile Club, del resto, sono legati ad attività difficilmente controllabili. Il calo delle vendite di auto degli ultimi anni ha influito non poco e a questo si è aggiunta una diminuzione degli incassi derivanti dall’attività della Sara Assicurazioni, con la quale Aci ha un accordo. Sara ha attuato una “pulizia dei portafogli” recando beneficio ai propri conti, ma ha invece fortemente diminuito i nostri guadagni». Sostanzialmente, la società assicuratrice ha deciso di concedere polizze a guidatori più attenti, rendendo più sicuro il proprio bilancio, ma diminuendo il numero di assicurati e dunque il guadagno conseguente dell’Automobile Club. «A fronte di quest’improvviso calo delle entrate – continua Filippi Filippi – non è stato possibile attuare un taglio immediato delle uscite, legate soprattutto a una sovrabbondanza di personale che, seppur competente, è certamente superiore rispetto alla mole di lavoro attuale. Una riflessione dunque va fatta e la stiamo facendo». Un indiretto, ma non troppo, avviso ai dipendenti.
C’è poi un’altra voce ad appesantire i costi. L’attuale sede dell’Aci di Bergamo, in via Angelo Maj, a differenza di quanto avviene in altre città, non è di proprietà dell’Automobile Club, ma in affitto e questo, nonostante sia stato ottenuto uno sconto, resta una spesa importante. L’Aci di Bergamo è proprietario di un immobile a Treviglio valutato circa 300 mila euro, ma la crisi del mercato immobiliare non ha aiutato nella ricerca di un compratore.
La ricetta del risanamento, secondo il commissario, passerà principalmente da due azioni: il rilancio del comparto assicurativo e la Scuola guida 'Ready 2 go', fiore all'occhiello in tutta Italia, ma che a Bergamo non ha ricevuto un impulso tale da portare utili.
Va detto che nella gestione bergamasca dell'ente presidente e consiglieri non percepivano un euro per il loro impegno. Il commissario avrà invece un costo annuo di 5.350 euro, compenso lordo spettante ai presidenti degli Automobile Club provinciali di 3^ categoria, escluse le spese di trasferta dalla Puglia a Bergamo. Una circostanza, quest’ultima, che ha destato qualche perplessità: in altri casi simili, come Trieste, è stato nominato l'avvocato Marco Galletti di Udine (provincia confinante); per l'Aci di Salerno l'avvocato Rodolfo Vitolo, della stessa città. Qualcuno ha avanzato il sospetto che la scelta di Filippi Filippi sia legata al fatto che il presidente nazionale in carica, Angelo Sticchi Damiani, sia della stessa regione e suo predecessore all’Aci di Lecce. «Credo si tratti semplicemente di una questione di trasparenza», conclude Filippi Filippi. «Una persona proveniente da una Regione diversa e molto distante osserva con occhio più oggettivo la situazione e non si lascia influenzare da niente e da nessuno».
A livello nazionale l’Aci non brilla certo per buona economia: la Corte dei Conti ha mostrato come, dal 2002 al 2009, in appena otto anni, l’Automobile Club abbia perso addirittura 850 milioni di euro. Più specificatamente, nel 2012, i magistrati contabili ravvisarono diverse irregolarità nella presentazione dei dati da parte dell’Aci e risultati d’esercizio in continuo peggioramento. Nel 2008 il bilancio si chiuse in attivo per 800 mila euro, ma già nel 2009 le perdite ammontarono a 30 milioni, diventati 34 l’anno successivo. Nel 2011 si è registrato un attivo di 26,6 milioni, ma ottenuto attraverso plusvalenze puramente contabili del valore di 48,8 milioni per la cessione di alcuni immobili di proprietà. Lo schema si è ripetuto nel 2012, ma in questo caso non si è potuto evitare una perdita di 28,7 milioni di euro. Di pari passo, quindi, è crollato il patrimonio netto, passato dai 111,83 milioni di euro del 2007 agli appena 41,91 del 2010.
Nel 2013, su 106 sezioni locali, ben 57 hanno chiuso il proprio bilancio in perdita, con la sede di Palermo in testa (6 milioni di euro di rosso). E questo nonostante L’Aci vanti un milione di tesserati e 106 Club provinciali. Nell’ultimo periodo quelli commissariati sono stati 18: Brescia, Macerata, Nuoro, Oristano, Padova, Pistoia, Reggio Calabria, Salerno, Venezia, Milano, Pavia, Foggia, Enna, Imperia, Palermo, Pavia, Trieste e Bergamo.
Alla luce dei dati, il premier Renzi ha pensato, nella riforma della Pubblica Amministrazione, di accorpare l’Automobile Club con la Motorizzazione, considerati un inutile doppione. L’accorpamento dei due enti permetterebbe allo Stato di risparmiare circa 60 milioni di euro l’anno.
Attualmente, una persona che acquista un’auto deve dotarsi sia di carta di circolazione (rilasciata dalla Motorizzazione) che di certificato di iscrizione al Pra (gestito dall’Aci): un doppio onere ritenuto disfunzionale e, soprattutto, burocraticamente costoso per i cittadini e per lo Stato stesso.
A razionalizzare il sistema ci avevano già provato diversi ministri, tra cui Bersani, senza però riuscirci. Il problema principale è la diversa natura degli enti: la Motorizzazione è infatti un’articolazione periferica del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, mentre l’Aci è un ente pubblico non economico, finanziato dai contributi dei soci. Il secondo problema sono gli oltre seimila dipendenti dei due enti.