Adidas-Puma, tra i due litiganti il terzo gode (cioè la Nike)
Quando nel 2009 le due aziende più importanti di Herzogenaurach, 23mila anime nel sud della Germania, decisero che finalmente era ora di fare pace, si scelse come data il 21 settembre, giorno della “giornata della pace” in tutto il mondo. Forse la mossa sembrò esagerata, ma un fondo di ragione c’era: le rivalità aziendali che avevano interessato Adidas e Puma erano state una vera e propria guerra, iniziata più di sessant’anni prima in piena epoca nazista e proseguite fino ai nostri giorni con sguardi di sfida tra le avverse fazioni, matrimoni saltati, pub specifici e diversi per i dipendenti delle due celebri aziende sportive. Ai Mondiali di Brasile appena conclusi Adidas ha vinto la partita con Nike portando in finale due squadre marchiate dalle tre strisce, ma la battaglia contro il baffo americano è cosa recente (e al momento Adidas insegue Nike): prima, invece, tutta la storia del brand sportivo tedesco si è dipanata nella guerra contro i concittadini di Puma.
E le ragioni di questa rivalità vanno cercate tra Adolf e Rudolf Dassler, due fratelli all’origine delle due aziende. Erano gli anni venti, e il primo si mise a cucire scarpe sportive nella lavanderia di casa, con l’aiuto del secondo e del padre, Christoph. Le cose andavano molto bene tanto che nel ’24 i due fondarono la Gebruder Dassler Schuhfabrik, che fece il botto quando cominciò a produrre calzature differenziate per le varie attività: misero i tacchetti sotto alle scarpe da dare ai calciatori, idearono modelli diversi per la corsa, da fondo e sprint. L’apice lo raggiunsero nel ’36: alle Olimpiadi Berlino lo statunitense Jesse Owens portò a casa quattro ori. Ai piedi, le scarpe fornite proprio dai fratelli Dassler. Che però cominciavano a covare i primi dissidi: differenze di vedute imprenditoriali, ma anche politiche. Erano gli anni del Nazismo in Germania, ed entrambi i Dassler avevano aderito al progetto politico di Hitler. Quando scoppiò la guerra, l’azienda subì una riconversione e cominciò a produrre materiale bellico. Adolf rimase a dirigere la fabbrica e riuscì ad evitare la chiamata alle armi. Trattamento che invece non fu concesso a Rudolf, spinto al fronte dalle sue convinzioni ma arrabbiato per le concessioni fatte al fratello.
La rabbia di Rudolf crebbe ancora di più dopo la fine della guerra: l’ex-soldato, infatti, finì in carcere per la sua appartenenza alle SS, cosa che non capitò ad Adolf, libero anzi di tenere aperta la sua azienda e ricominciare a produrre scarpe. Il ’48 fu l’anno decisivo: il primo uscì dal carcere, e scelse di staccarsi dall’azienda del fratello e di crearne una nuova. All’iniziò la battezzò Ruda (RU-dolf DA-ssler), poi preferì passare a Puma. Il fratello non fu da meno: dal suo nome Adi Dassler nacque Adidas. Che in breve tempo diede seguito ai suoi successi, dando i primi esempi di guerra di marketing contro la rivale concittadina: per le Olimpiadi di Melbourne, nel ’56, il figlio di Adi, Horst, capì l’importanza dei testimonial, e regalò alcune delle loro scarpe a tantissimi sportivi impegnati nelle gare dei Giochi, cosa per nulla normale in un periodo in cui gli atleti si dovevano ancora comprare le attrezzature e l’abbigliamento.
Così si è andati avanti a colpi di marketing e pubblicità per tutto il secondo dopo guerra: Adidas faceva da sponsor a Mohammed Alì e Beckenbauer, Herberger e Fosbury, Beckham e Zidane. Puma rispondeva con Crujff e Maradona, Pelé e Bolt, Becker e Balotelli. Insomma, i marchi diventavano internazionali e diffusi in tutto il mondo, ma là dove tutto era cominciato, Herzogenaurach, le divisioni rimanevano: se lavoravi per una delle due aziende era praticamente impensabile sposare una dipendente dell’altra fabbrica. C’erano anche pub e locali dove non potevi entrare se avevi addosso, rispettivamente, le tre strisce o il felino. Nel ’76, quando Rudolf Dassler morì, da Adidas arrivò questo comunicato: «Per pietà umana è meglio che la famiglia di Adolf Dassler non rilasci commenti sulla morte di Rudolf Dassler». Collisioni che ormai sono storia, dato che entrambi i marchi hanno perso le connotazioni famigliari per essere invece parte di grandi multinazionali. Nel frattempo, poi, è cresciuta spaventosamente Nike, diventando leader del settore e inserendosi lei stessa nella guerra di marketing dei brand sportivi. Che però non sarà più affascinante quanto il conflitto tra Adidas e Puma, così famigliare e paesano.